“Come superare una sbronza?” è una di quelle domande che non può esaurirsi in un’unica risposta e per questo motivo tutti credono che, in fondo, quella risposta esista veramente.

Sorella di “Come si diventa una persona realizzata?”,“Che cos’è la felicità?” e “Il glutine fa male?”, Come superare una sbronza?” è una frase che non ha senso.

L’assenza di una soluzione definita è di contrappunto all’aspetto sfatto e opaco del soggetto che si è ridotto a domandare aiuto, un corpo larvale in cerca di un miracolo da chi è lì intorno e che come lui pare che abbia trovato, chissà quando, una soluzione pratica al problema.

A quel punto gli spettatori si sentono tutti come Gesù nel tempio, che sia per etica o per vanità, se il corpo larvare deve superare la sbronza, ogni sopravvissuto si esibisce nella sua danza di salvataggio: “Prendete dell’acqua!”, “No! l’acqua è peggio!”, “Portate del pane!”, “Mettetelo su un fianco!”, “Non dategli niente da mangiare!”, “Vuoi che ti infili due dita in bocca?”,“So io come farlo vomitare”, “Lo vuoi un Biochetasi?”.

A superare la sbronza non ci si può rassegnare, anche a costo di consigliare al moribondo che la mattina dopo, per colazione, dovrà bere di nuovo qualcosa di alcolico: “E vedrai, starai benissimo”.

Del resto si sa che, come è difficile accettare l’idea che qualcosa non possa funzionare, è ancor più complicato credere che se qualcosa ha da sempre funzionato bene in quel modo, allora non possano esserci altri modi per far sì che quella cosa funzioni meglio di prima, modi che abbiamo sempre ignorato e che prima o poi porteranno al collasso della prima risposta.

Insomma, arrenderci all’idea che l’unico modo per superare una sbronza è aspettare che ci passi è una soluzione così scontata che preferiamo sempre tentare qualcosa che poi avremo da raccontare, qualcosa che magari funzionerà, o forse no, chissenefrega, questo non importa, meglio tentare: una soluzione alternativa è sempre meglio che star lì senza far niente.