“Imputato ascolta, noi ti abbiamo ascoltato”. Inizia così l’intenso monologo contenuto in Storia di un impiegato di Fabrizio De Andrè, storico disco del 1973 che ora Cristiano sta suonando nei teatri e che noi abbiamo avuto la fortuna di ascoltare dal vivo proprio ieri al TuscanyHall di Firenze.
A quel vocativo corrisponde uno dei momenti più intensi dello spettacolo: l’artista stesso si sottopone al fascio di luce dell’occhio di bue che lo inquadra. Suonare il repertorio del padre deve assomigliare ad un infinito processo, in cui però alla fine i ruoli si invertono: “Tu sei il potere. Vuoi essere giudicato? Vuoi essere assolto o condannato?”. E infatti:“Non credevo di sopravvivere al mio cognome”, ammette Cristiano a metà spettacolo, dopo aver concluso il concept albume prima di spaziare nel resto del repertorio di Faber.
Per parte nostra, noi votiamo per una completa assoluzione.
Cristiano riesce miracolosamente a trovare il giusto mezzo tra il riprodurre Faber così com’era e il reinterpretarlo. Gli arrangiamenti, curati insieme a Stefano Melone, tendono al rock: i contrasti sono più marcati; la presenza della chitarra elettrica caratterizza il live molto più del disco; la tastiera surroga con destrezza l’assenza dei fiati e i suoni dinamici della batteria hanno un’eco prog. Scelta molto apprezzata è stata quella di riproporre, dove possibile, gli arrangiamenti della PFM; in direzione anni ‘70 anche la bellissima versione di Quello che non ho, suonata in un blues “cattivo” alla ZZ Top.
Cristiano spazia tra chitarra, mandolino, violino e pianoforte; si muove tra napoletano e genovese, madrelingua in cui offre le prove più emozionanti, soprattutto quando intona Creuza de mä in uno dei quattro generosi bis. Dice poche parole e quasi tutte assecondano la lettura delle video proiezioni che accompagnano tutto il concerto.
Scene di protesta e partecipazione civile, da quel ‘68 celebrato da Faber fino ai gilet gialli: “50 anni sono passati ma rimane il sogno anarchico e pacifista. L’anarchia è uno stato dello spirito”.