Domenica 8 luglio, presso l’area dell’ex ospedale psichiatrico di San Salvi, all’interno dell’Estate Fiorentina e con la collaborazione de La Chute Associazione culturale, Lungarno presenta Father Murhpy in concerto. Sarà il momento e il luogo ideale per conoscere “Rising. A requiem for Father Murphy”, disco che chiude definitivamente il percorso di una band straordinaria e unica nel panorama italiano. In apertura di concerto i Serpentu, trio nato tra Prato e Pistoia e composto da Mirko Maddaleno (Blue Willa e Baby Blue), Lorenzo Cappelli (Marlon Brando) e Alessia Castellano (Werner).

Quando frequentavo il liceo, in occasione delle belle giornate, l’ora di educazione fisica si svolgeva all’aperto. Quell’aperto era confinante con l’area di San Salvi, parco all’interno del quale si trovava l’omonimo ospedale psichiatrico. Ospedale attivo fino al 1978, anno della legge Basaglia. Per tutta una serie di motivi – pellicole consumate e pagine lette – ho sempre immaginato quel luogo come oscuro e misterioso. Perfetto in pratica per un Requiem, nel nostro caso quello di Father Murphy, vittima designata di un percorso artistico lungo oltre quindici anni. Un cammino attraverso il quale la band italiana ha trovato un suo magnifico equilibrio, tanto in Italia quanto all’estero, tra sperimentazione e occulto. Equilibrio addirittura invidiato da alcuni colleghi pesi massimi della categoria, tipo Julian Cope, Michael Gira degli Swans, Geoff Barrow dei Portishead e Mission of Burma. Status di culto raggiunto, poi, grazie alla dimensione live, assai cara alla band, spesso in bilico tra rito, sacralità e concerto tradizionale.

ph: Carlotta Del Giudice

Abbiamo parlato di questo, di religione, di occulto e del loro ultimo lavoro “Rising. A requiem for Father Murphy” con Federico Zanatta/Freddie Murphy, titolare del progetto insieme a Chiara Lee.

“Rising. A Requiem For Father Murphy” chiude il vostro percorso. Al di là del fatto che ogni fine sia fisiologica, la prima motivazione che mi è venuta in mente è dovuta alla quasi totale destrutturazione del vostro suono finale. Cioè, in pratica non è rimasto quasi più nulla, come era possibile andare oltre? C’è dell’altro?

“Ci siamo sempre ripromessi di scorgere i segnali di una possibile fine. Quando abbiamo iniziato a ragionare sulla possibilità di scrivere un requiem, abbiamo subito capito che non poteva che essere il nostro ultimo disco, e che Father Murphy stesso dovesse esserne il destinatario, una messa funebre da noi scritta e dedicata a questo personaggio di cui abbiamo tracciato un percorso, una leggenda, in questi anni. Poi, anche ai fini di poter continuare la nostra ricerca di un suono sempre più espressivo e diretto, abbiamo voluto sfruttare le potenzialità di scrivere un requiem sapendo sin dal principio essere l’ultima uscita per Father Murphy, in modo da convogliare tutte le emozioni che esprimessero una fine prossima nella scrittura quanto nell’intenzione in fase di registrazione. Un po’ come un cantante che per meglio urlare ed esprimere dolore si incidesse tagli profondi per meglio sentire ed esprimere determinate emozioni”.

C’è sempre stata una forte spiritualità nei vostri lavori da cui traspare una certa serenità verso quello che ci sarà, o non ci sarà dopo. Qual è la vostra posizione religiosa?

“Abbiamo grande rispetto per qualsiasi forma di ricerca e curiosità nei confronti di un senso di religiosità personale. Contemporaneamente nutriamo sospetto e avversione per qualsiasi forma organizzata e istituzionalizzata di religione”.

In questi quindici anni di vita, Father Murphy è stato un progetto molto importante per il panorama italiano e avete avuto una grande esposizione anche all’estero. Quali sono le differenze più sostanziali sia per quel che riguarda il pubblico dei vostri concerti sia per l’approccio della stampa estera ai vostri lavori?

“Sin dall’inizio la nostra idea era di scrivere musica e di proporla. Essendo italiani siamo partiti dall’Italia, ma appunto come semplice punto di partenza, per poi andare in tutti quei posti dove potesse esserci interesse. In generale quindi è un po’ difficile fare un discorso contrapponendo Italia ed estero, servirebbe infatti andare nei dettagli, paese per paese. Ti posso però dire che forse il posto dove più di tutti ci piace tornare a suonare, dove siamo cresciuti nel tempo e si è creato interesse da parte di stampa, promoter, festival e pubblico, è il Regno Unito. Abbiamo sempre avuto un debole anche per gli Stati Uniti, dove abbiamo trascorso anche lunghi periodi, però il discorso è più complesso, vista anche la vastità del paese. L’Italia comunque rappresenta per noi un punto fermo, la comunità musicale è sempre più attiva, nonostante sembra si faccia di tutto per chiudere locali, circoli, associazioni e “normalizzare” l’offerta culturale; trovo che ci sia sempre fermento, che le proposte continuino a nascere e crescere e che, piano piano, ci si stia togliendo un po’ di provincialismo di dosso. Differenze tra questi miei esempi? Tanto in UK che negli USA i concerti iniziano ben presto, il che è una cosa meravigliosa a mio avviso, perché la serata non finisce con il concerto, ma potenzialmente inizia in quel momento!”.

Probabilmente sono lontani dai vostri ascolti, ma mentre mi sto sparando “Rising. A Requiem For Father Murphy”, mi vengono in mente dei Low più glaciali. Ti va di raccontarci quali sono stati gli ascolti durante la vostra carriera e come si sono evoluti fino al nuovo disco?

“In questi anni gli ascolti sono stati molti e i più diversi, quanto tante sono state le scoperte e le folgorazioni subite da questa e quella band, tali da influenzarci spesso e volentieri, trasformandosi talvolta in collaborazioni. Vedi l’esempio del compositore torinese Luca Garino, che negli anni, oltre alla sua musica, ci ha fatto anche scoprire moltissimi altri compositori/artisti (vedi Eliane Radigue) diventando per noi una sorta di spacciatore musicale…Il duo newyorkese di “sacred music” Ariadne, con cui abbiamo suonato a NYC un paio d’anni fa, e che hanno quindi contribuito a Rising. L’ex Beak Matt Loveridge aka MXLX e Fairhorns e il suo harsch noise gregoriano, incredibile tanto su disco quanto live. Ma l’elenco potrebbe continuare con gli indonesiani Senyawa, i greci Mohammad, gli adorati Movie Star Junkies ed Ezra Buchla… Ecco, sempre più negli anni è scomparsa completamente qualsiasi forma di mainstream dai nostri ascolti. D’altronde, con un underground così vivo e in fermento, è molto più facile che le novità e gli stimoli provengano da quest’ultimo”.

ph: Carlotta Del Giudice

 

Il Padre Murphy è ormai una figura di riferimento dell’occulto musicale italiano. Ma se fosse uno scrittore, un autore, chi sarebbe?

“Non posso non rispondere che William Seward Burroughs. A partire dal fatto che il nome Father Murphy l’abbiamo preso da un suo racconto, la continua ricerca e parabola dello scrittore americano ci ha fortemente influenzato; forse soprattutto nel metodo, nel cercare e “rubare” stimoli da qualsiasi fonte, nel non legarsi ad alcuna precisa corrente, nel mantenere la propria attenzione tanto alla forma, alla sperimentazione e alla freschezza della scrittura, quanto all’originalità espressiva dei contenuti, rendendoli un’unica cosa. Non puoi capire Burroughs, o goderne, leggendo esclusivamente un titolo. Si tratta di una vera e propria discesa all’interno del suo percorso, della sua leggenda, con cui ha tracciato una propria e personalissima visione della realtà. Uno sguardo spesso descritto come cinico, ma che in realtà tradisce una sua grande passionalità, soprattutto nel permettersi di vivere ed esperire le situazioni e gli stati fisici, emotivi e mentali che andava via via narrando/descrivendo/utilizzando”.

Se ti chiedessi di scegliere un vostro brano che riassuma, in qualche modo, questo vostro viaggio, quale sceglieresti?

“Penso che una sorta di mash-up a partire da ‘You got worry’ (da “No room for the weak”) passando per ‘It is funny. it is restful. Both came quickly’ (da “Anyway our children will deny it) arrivando quindi a ‘Agnus Dei’ (Rising) potrebbe ben rappresentare alcuni punti chiave del nostro suono: la coralità e ritualità delle voci, le ritmiche quasi a scandire una processione, l’urgenza espressa dalle parti più noise, una scrittura che strada facendo ha cercato di essere sempre più espressiva”.

Come dobbiamo presentarci per il vostro Requiem?

“Ci piacerebbe pensare che ogni tappa di questa lunga processione funebre sia una celebrazione della vita di Father Murphy, dove la fine ne giustifica e rende reale tutto il percorso. Non chiederemmo mai di piangere per Father Murphy, ma se doveste essere mossi a commozione, quantomeno fatelo col sorriso sulle labbra. In alcuni posti la gente ha portato dei fiori, e ne siamo stati molto felici: nel momento in cui sono recisi la loro bellezza contrasta con la brevità della loro esistenza, e riempiono l’atmosfera con un profumo che diventa inesorabilmente sempre più acido e grave”.

 

 

Di Gabriele Giustini