Ogni città del mondo ha i propri quartieri più popolari. Le periferie italiane brulicano di palazzoni composti da tanti piccoli appartamenti per i quali sempre più persone attendono per anni con il solo obiettivo di accedere alle graduatorie pubbliche e ottenere un alloggio ad affitto calmierato.
A Firenze, alle più note Case Minime e gli alloggi delle Piagge, si aggiungono tanti contesti condominiali meno noti. In questi da tempo si denunciano situazioni di tensione e si temono problemi di integrazione. Per alcuni una delle cause di queste difficili situazioni è il presunto incremento di inquilini stranieri che riescono ad accedere ai bandi E.R.P. (edilizia residenziale pubblica, ndr).
Il “VI Rapporto sulla condizione abitativa in Toscana” fotografa una situazione dove «il 93,9% degli alloggi sono stati assegnati con regolare contratto di locazione e solo l’1,6% è occupato abusivamente (dato nazionale al 6,4%). Dei 47.384 nuclei familiari che vivono in case E.R.P., il 26,3% è composto da persone che vivono da sole, il 20,4% da nuclei con soggetti invalidi, il 2,4% da famiglie con figli disabili a carico. Il 91,2% degli assegnatari degli alloggi è italiano, l’8,8% è straniero. Il 35,9% degli alloggi è andato a famiglie straniere, rispetto al 40,6% del 2015». Nonostante ciò in alcuni contesti condominiali fiorentini la percentuale di inquilini stranieri è diversa da questa fotografia.
È il caso del complesso in piazzetta San Sepolcro, proprio accanto alla biblioteca comunale dell’Isolotto, dietro l’Esselunga di via Canova. «Su 28 famiglie che vivono qua– racconta una inquilina italiana – solo 4 o 5 sono italiani e due appartamenti sono vuoti. Viviamo una situazione difficile e un evidente problema di integrazione. Molti non rispettano le regole e alcuni non pagano neanche l’affitto. Quando eravamo solo italiani a vivere nelle case popolari, tranne qualche problema di condominio, non avevo mai ricevuto minacce e offese. Queste case sono molto belle, con soffitte e garage a disposizione degli inquilini, invece mia figlia e i miei nipoti vivono nelle case popolari di piazza Leopoldo dove ci sono infiltrazioni d’acqua e muffa ovunque, nell’appartamento come per le scale condominiali. Vivono in una situazione inaccettabile».
Nel garage sottostante, tranne un’auto impolverata e abbandonata, non ci sono particolari situazioni di degrado: alcune svastiche di colore verde dipinte sui muri e sulle porte, accompagnate da scritte come “negro” o “ebola”. Ma a soli pochi metri di distanza la situazione descritta appare molto diversa: «Nel mio palazzo ci sono più italiani che stranieri e nessun problema di integrazione– dice Antonella, inquilina delle case exINA di via degli Agrifogli-, la mattina passando davanti alla vicina scuola elementare si vedono bambini di ogni nazionalità. Questa è integrazione, nonostante ci siano alcuni momenti di tensione dovuti però alle condizioni di povertà diffuse. Certo, in alcuni casi la convivenza è difficile a causa delle differenti culture e abitudini; nella palazzina dove vive una mia amica c’è una famiglia rom di trenta persone che vivono stipate in un piccolo appartamento, ma i bambini studiano la nostra lingua in casa di una vicina italiana. La situazione è dura ma non cederemo alla guerra tra poveri», conclude Antonella.
A Novoli incontriamo Valeria, una signora italiana che vive con Casa Spada 26 anni e da 5 è alloggiata nelle strutture temporanee in legno e cartongesso di viale Guidoni, di fronte al Tribunale. Qui, quasi introvabili sui campanelli sono i cognomi stranieri. Per Valeria, che da 23 anni vive con il suo compagno originario del Senegal, «più che un problema di integrazione c’è un grosso problema di razzismo. La casa è piccola ma non gli manca niente, i problemi non sono dati dagli alloggi o dalla provenienza degli inquilini ma dalle difficili condizioni sociali, culturali ed economiche di grande depressione. Nella vicina via della Torre degli Agli stanno costruendo edifici di 7 piani di edilizia popolare destinati ad ospitare 88 famiglie; qua ci sono problemi di convivenza e siamo solo due palazzine di 9 famiglie l’una, non voglio immaginare cosa succederà laggiù».
di Jacopo Aiazzi
(foto di Giulio Garosi)