Una volta l’anno mi ricordo che a Firenze c’è l’Arno.
A capodanno. Quando Giani, in braghetta d’ordinanza biancorossa-canottieri, si lancia festante ne li gorghi de lo nostro fiume. E un coro di “maiala che schifo” accompagna i commenti che si fanno il giorno al bar sfogliando La Nazione.
Io invece sto con Giani e non sto scherzando neanche un po’.
Non si è ancora trasformato in Tartaruga Ninja, rassicurandoci sul fatto che per quanto sudicio, l’Arno non è completamente radioattivo. Forse. E che pure quei pesci enormi chiamati siluri, che pare lo abitino, saranno grossi, ma non abbastanza da ingoiare un Giani.
Ecco, i pescatori che pescano in Arno. Sono gli unici altri che ogni tanto mi rammentano che esiste l’Arno. E i canottieri. E anche quelli col sup, tipo il mio amico Tommaso Pucci. Ma poi … che cazzo pescano in Arno?
Ebbene un grazie va a tutti loro. Da Giani a Pucci. Perché a me, lo dico davvero, dispiace non ricordarmi mai che c’è un fiume a Firenze. Ma del resto io, che cazzo ci faccio co ‘sto fiume? Ci passo sopra. Punto. O al limite ci bevo i cocktailini a 8 euro in riva.
Forse più che pedonalizzare il Duomo, non potevamo pensare a come navigabilizzare l’Arno? O meglio ancora nuotabilizzarlo? È davvero così assurdo? Così impensabile? Se lo è davvero, tanto vale interrarlo questo Arno, come s’è fatto con l’Affrico o il Mugnone. Che sarebbero i due altri fiumi di Firenze che nessuno ricorda. Anche se poi mi mancherà non vedere le foto del tuffo di Giani. Che alla fine è davvero l’unica cosa che dà un senso all’Arno.
Speriamo non si trasformi in un Tartaruga Ninja.
Michelangelo Giani. Quello coi nunchaku.
di Tommaso Ciuffoletti