“Fiumi di parole fra noi, prima o poi ci portano via”
Jalisse (1997)

Era il 1997, la fuga da New York non c’era stata perché gli scenari post atomici erano passati un po’ di moda. Dario Fo diventava Nobel, Clinton sedeva alla Casa Bianca precedendo Civati e Bersani ed i Radiohead pubblicavano l’entusiasmante singolo “Karma Police”.

C’era, come ci sarà sempre, il Festival di Sanremo. Era appunto il 1997 ed il Muro di Berlino della canzone veniva distrutto con la vittoria dei Jalisse. Davanti a Silvia Salemi, quella che a casa di Luca si rompeva i coglioni ma si faceva le canne. Paola e Chiara si imposero invece davanti a Niccolò Fabi ed al suo pezzo sui capelli che vedeva la firma anche eccellente di Cecilia Dazzi. Mica cazzi, Dazzi.
Era il 1997 e i fiumi di parole della canzone nazionalpopolare tornarono a vincere. Vinsero come Moreno Torricelli, che passò da operaio brianzolo a calciatore in Coppa dei Campioni. Vinsero come Checco Zalone o come Ugo Tognazzi che da modesto ragioniere di Cremona divenne quello che tutti sappiamo. Senza sentirsi sopra le parti. Senza doversi giustificare artisticamente.

Senza fingere di cercare quelle che sono le radici della nostra terra con la perfetta indole degli ex presidenti della regione Puglia, o dei lucani che fanno i lucani perché bisogna fare i lucani anche a Sanremo. I fiumi di parole del 1997 devono diventare un punto di ripartenza contro il “poraccismo”, status perfetto di chi nel 2016 posta foto sui social fra i vecchietti del bar, gioca a fare l’artista dei poveri, ma ha una causa aperta con le compagnie telefoniche perché a casa non arriva la fibra. Forza Jalisse, sempre.

 

di La Sciabolata