«Spezzare la continuità.» Servono a questo i riti di passaggio e non lo dico io, lo dice Marco Aime, antropologo dell’Università di Genova. Gli stessi riti sono infatti come un grande orologio collettivo che scandisce l’età sociale di ciascuno di noi: bambino, adolescente, giovane, adulto, anziano, anche oggi che in Italia si è considerati giovani almeno fino ai quarant’anni. Mio papà frequenta un gruppo di ciclisti amatoriali, tutti pensionati come lui, che nomina spesso come «quei ragazzi». In una società che chiamiamo liquida quanto contano i riti?
Contano. Credo che ancora contino visto che ogni anno mi tocca almeno un matrimonio. Quelli più belli però li ho visti nuovamente a distanza negli scatti di Giuseppe Marano. Le sue foto raccontano i gesti segreti dei preparativi, l’ansia di chi aspetta gli sposi, la noia dei bambini in giacca e cravatta, i volti finalmente distesi con l’arrivo del brindisi, la brezza che entra sotto i vestiti quando fa sera. Giuseppe non documenta un rito, ma quello che rappresenta per le persone, e l’umanità che c’è dentro. Ad Impact Hub Firenze, dove ha l’ufficio, penso che il suo lavoro abbia avuto un’influenza occulta: quest’estate, tra i membri della community, saranno in tre a sposarsi!
Tranquilli ragazzi, è solo (si fa per dire) un rito.
photo: maranovisionart.com