di caterina liverani
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Incontro Haider Rashid per un caffè alle Murate nel primo vero giorno di caldo estivo.
Sta per piovere, il film di cui è regista e sceneggiatore che racconta la storia di Said, 26 anni, nato a Firenze da genitori algerini che dopo essersi visto negare il permesso di soggiorno lotta con tutte le sue forze per far conoscere la sua storia e per vedere riconosciuti i diritti della sua famiglia, è diventato il caso cinematografico degli ultimi mesi.
Haider è appena tornato da Dubai dove un cineclub ha organizzato una proiezione del suo film: “La sala era piena e c’è stato un’ ottima risposta anche grazie ad un interessante dibattito con gli italiani che erano presenti”.
Nato a Firenze nel 1985, mamma calabrese e papà iracheno, Haider è stato spinto a viaggiare dalla sua voglia di imparare e conoscere il cinema.
“Subito dopo il liceo sono partito per l’Inghilterra per studiare, ma ho abbandonato quasi subito per mettermi a lavorare. Ho imparato da autodidatta buttandomi nella realizzazione del mio primo film Tangled up in blue che è uscito nel 2010 e che considero la mia vera scuola di cinema. Due anni fa ho girato un documentario in Sicilia e poi è stata la volta di Sta per piovere che a Firenze è stato in programmazione allo Spazio UNO per ben 5 settimane. È un risultato di cui siamo entusiasti, perché oltre al riscontro che il film continua a registrare in tutta Italia, ha portato al cinema tanto pubblico, che oltre che interessato alla tematica di grande attualità, era curioso di vedere un film girato interamente nella propria città.
In Inghilterra sono più semplici le cose per un giovane regista? È un paese dove sicuramente si produce un maggior numero di film indipendenti e soprattutto ci sono più finanziamenti. Vorrei che un po’ dell’esperienza che ho maturato in Inghilterra mi aiutasse a dare una scossa alla scena culturale fiorentina, coinvolgendo altri giovani.
Quali sono gli autori che nel tuo percorso ti hanno maggiormente influenzato? La calma, il ritmo e il realismo che ho messo in Sta per piovere vengono sicuramente dall’osservazione del cinema di registi come Ken Loach e Mike Leigh, e non posso non citare Cassavetes che considero il mio maestro e uno dei miei idoli. Amo anche molto il neorealismo e il cinema civile di Rosi, senza dimenticare Scorsese. Le ultime sequenze del mio film hanno un aspetto più rarefatto, aperto ad interpretazione; è a loro che ho affidato il mio amore per Antonioni.
Come lavori con gli attori? Ritengo sia giusto lasciare la libertà di contribuire e di lavorare sull’atmosfera permettendo anche di improvvisare su alcune scene. Lorenzo Baglioni che interpreta il ruolo di Said è stato davvero molto bravo. Dopo i primi 3-4 giorni sul set è letteralmente esploso. Tutti i miei attori sono stati eccezionali, penso anche a Mohamed Hanifi che senza nessuna esperienza alle spalle ha interpretato il ruolo del padre di Said donando grande profondità.
Tu viaggi molto e hai vissuto per diverso tempo all’estero. Che rapporto hai con Firenze? È una relazione molto particolare. Io sono fiorentino ma entrambi i miei genitori sono immigrati. Avendo vissuto Firenze sempre con un certo distacco ho conservato la capacità di sorprendermi, specie quando rivedo alcune zone della mia infanzia come via dell’Agnolo che mi danno la sensazione di essere a casa. Ci stiamo impegnando per creare uno spazio artistico proprio qua a Firenze con la società di produzione Radical Plans. Si sente continuamente dire che il cinema si fa a Roma, ma non c’è motivo per cui non lo si possa fare anche nella nostra città. È sempre qui che girerò parte del mio prossimo film, Babylon ambientato tra Italia, Germania, Turchia e Iraq che racconterà la storia di un pianista jazz nato e cresciuto a Firenze ma di origini irachene che dopo una serie di drammatiche vicissitudini decide di partire per Bagdad per scoprire la verità sul passato della sua famiglia. Cominceremo le riprese il prossimo anno, mentre quest’estate gireremo un corto sempre a Firenze.