Penitenziagite. Ne “Il nome della Rosa” è parola pronunciata da Fra Salvatore, eretico dolciniano. Fare penitenza, redimersi ed esprimere il proprio stato di sofferenza. Quello era un film di cupa ambientazione medioevale quasi come ora lo sono le convention di Forza Italia. La realtà è un’altra, ma la morale non cambia: dopo la goffa simpatia della “Sindrome da Paperoga”, il secondo stadio nell’avventore che incontri agli aperitivi è quello di Fra Salvatore. Alla profetica e brunoriana domanda “Come stai?” la risposta, sempre remissiva, si barcamena fra un trafelato e misterioso “Sapessi” ed un secco “Stanco”.
Tralasciando le reali vicissitudini, il motivo portante del dialogo è sempre la stanchezza e lo stress di fondo: situazioni che potresti tollerare, ma che non avvengono mai in un bar della provincia di Monza, tipo, popolato da manovali con una Moretti in mano. Loro sono felici, se la godono. Perché non hanno ansia da status sociale, forse, o non si devono proteggere dalle invidie altrui come i nostri nonni, che a domanda rispondevano con “Che ti devo dire? E’ una guerra”. Fatto sta che la lamentela sembra una moda. Il paventarsi indaffarato, lo scappare sempre, non si sa bene dove e perché.
Non c’è niente di malvagio, ma è una dinamica di compassione 2.0 che socialmente ci protegge, un po’ come quando ci fingevamo zoppicanti per poter arrivare penultimi alla corsa campestre della scuola media. Come noi tifosi viola che diamo la colpa all’arbitro, al sistema, al presidente. Poveri noi tifosi, ci diciamo. Penitenziagite.
di La sciabolata