È stato pubblicato il terzo volume della rivista Lezioni di Anarchia, la serie tematica che documenta gli incontri tenuti a Perugia, nello spazio pubblico davanti a Edicola 518. 

Non c’è nessuna idea politica su cui le persone abbiano le idee confuse più dell’anarchia. Da molti mistificata, spesso osteggiata, la cultura anarchica, intesa come sistema complesso di idee e prospettive sul reale, anche molto diverse fra loro, ha sempre avuto un ruolo minoritario nella storia delle dottrine politiche, nonostante alcuni pensatori anarchici come Proudhon, Bakunin, Kropotkin o Malatesta hanno, in quanto soggetti singoli, un ruolo di rilievo nel canone politico, filosofico e sociale dell’Occidente. Il pensiero anarchico sfugge per sua natura all’incasellamento dogmatico, eppure non è meno sistematico di altre dottrine. Negli ultimi anni molti collettivi e case editrici stanno promuovendo antologie, raccolte o collane per diffondere la ricchezza e la complessità del pensiero anarchico. Tra queste Eleuthera e Emergenze Publishing, che collaborano per stampare la serie di riviste Lezioni di anarchia. Da pochi mesi è uscito il terzo volume, dedicato al tema dell’utopia. Ne abbiamo parlato con il curatore del volume, Antonio Brizioli.

 

Il terzo numero di Lezioni di Anarchia ha per tema l’utopia. In un periodo storico di brutale realismo, in cui immaginare scenari alternativi sembra impossibile, perché questo tema e cos’è l’utopia per un anarchico?

«Il nostro progetto è pensato come una trilogia di cui questo è il numero conclusivo. Riprendendo una riflessione di una grande anarchica come Marie Luise Berneri in Journey through Utopia, un testo degli anni Cinquanta del Novecento, ci sentivamo di vivere in una società molto pragmatica, in cui anche il ragionamento speculativo è ricondotto quasi sempre all’utilità pratica. Allo stesso tempo, sentiamo attorno a noi molta rassegnazione e molto ripiegamento sull’esistente. Il volume indaga le possibilità del sognabile e dell’immaginabile e allo stesso tempo vuole mettere in guardia sulla scivolosità del concetto di utopia: un progetto individuale, per quanto utopico, può essere estremamente nocivo e germe di dittature quando viene imposto. È un volume ancora più aperto e polifonico rispetto agli altri, è il nostro tentativo di percorrere un viaggio attraverso l’utopia per indagarne le possibilità».

Perché la decisione di riportare gli interventi in forma di conversazione?

«È la caratteristica peculiare dei nostri volumi, sono trascrizioni di dibattiti organizzati nei giardini di fronte alla nostra edicola. L’editing cerca di conservare le caratteristiche del parlato: vogliamo garantire leggibilità senza trasformare il discorso scritto in qualcosa di più elaborato rispetto al parlato. Il nostro volume vuole essere un eserciziario, un quaderno di lavoro e di pensiero con ampio margine di appunti per il lettore. Credo sia una forma interessante di coinvolgimento del lettore».

A questo proposito, i volumi sono molto interessanti da un punto di vista grafico e editoriale: dalla scelta del carattere molto grande, agli spazi a margine, alla rilegatura con la semplice molla. Perché queste scelte e a chi o cosa pensavate quando li avete progettati così?

«Sia con Emergenze Publishing che con Edicola 518 siamo molto affascinati dal rapporto tra forma e contenuto e di come il primo elemento può influenzare l’altro. Il contenuto politico ci coinvolge sul piano ideale, mentre dietro al lavoro editoriale c’è un’intenzione di diffusione aperta delle idee, che coinvolge anche la forma-libro. Le discussioni sono organizzate con frasi in evidenza, collegamenti per dare degli spunti a chi legge, ampio margine laterale dove il lettore possa prendere appunti. Alla fine di ogni incontro c’è la bibliografia con vari livelli di approfondimento e infine gli inserti estraibili. Ci sono vari livelli del discorso, inseriamo una serie di suggerimenti a partire dai quali ognuno può costruirsi la propria anarchia. La rilegatura con l’elastico è l’ulteriore esaltazione di questo concetto, perché permette di sfilare pagine o inserire nuovi appunti, creando un volume totalmente scomponibile e ricomponibile».

Quali sono gli spazi, le funzioni e le possibilità che luoghi come le edicole e le librerie possono ritagliarsi nel mercato culturale di oggi?

«Ci sono varie possibilità: da una parte è possibile coincidere pienamente con il nostro sistema, fare scelte ovvie dipendendo in maniera incrollabile dalla grande distribuzione e veicolando messaggi politici ovvi e conformisti; dall’altra, noi vogliamo dare al nostro spazio una connotazione culturale unica, creata senza copiare format preesistenti; vogliamo militare nei nostri spazi e rilanciare la nostra storia e le nostre istanze politiche. Non ci importa tanto contrastare in maniera diretta le singole librerie, indipendenti o di catena che siano, ma creare modelli alternativi, che viaggiano su altri binari e cercano di costruire mondi differenti».