SUPERSTUDIO. NUOVI MONDI E ARCHITETTURA INTERPLANETARIA

rubrica radicale di architettura, arte e psichedelia

 

L’architettura è un fatto d’arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori dei problemi di costruzione, al di là di essi”

Le Corbusier

 

Disobbedire, osare, sperimentare oltre i confini delle discipline. La primavera delle utopie nel mondo delle arti visive arriva in Italia negli anni ’60, sull’onda degli scontri politici e tensioni sociali. Lo sbarco sulla Luna nel 1969 incoraggiò le neoavanguardie culturali: da quel momento le arti cambiavano per sempre, perché era cambiata la storia. Lo spirito radicale era un modo di vivere da cui partivano movimenti collettivi. Il gruppo “Superstudio” nasce nel 1966 dalle menti illuminate di Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia a cui si unirono poi Alessandro Magris, Gian Piero Frassinelli e Alessandro Poli. Attraverso la Superarchitettura, sviluppavano l’idea di superproduzione e superconsumo.

L’architetto e artista Alessandro Poli è stato parte del movimento dal 1970 al ’72 e ha tenuto corsi nella facoltà di architettura di Firenze. Il suo contributo maggiore al gruppo è la realizzazione del film documentario Supersurface, un riassunto delle loro opere presentato alla Biennale. I suoi progetti, oggi al Canadian Centre for Architecture di Montreal, sono l’incarnazione di un nuovo mondo connesso al futuro. Ci accoglie nella sua dimora-studio, immersa in una vegetazione che prepotente si impadronisce delle pareti, dove ci racconta di più su quel periodo folgorante.

 

Cosa rappresenta per lei Superstudio?

È stato un fenomeno dove tutto poteva essere possibile. Un momento fondamentale del mio lavoro. In seguito la mia ricerca è continuata al di fuori del gruppo. Il mio rapporto tra arte e architettura si racchiude nella cultura materiale extraurbana di Zeno Fiaschi, il contadino di Riparbella. Era un grande progettista-sciamano che attraverso la luna capiva come continuare la sua opera: la coltura della terra. Nasce così l’autostrada Terra-Luna, l’utopia radicale. Il rapporto tra il contadino Zeno e Aldrin l’astronauta era una linea diretta tra i due lontani personaggi.

 

Come definirebbe l’Utopia Radicale?

Il non avere ostacoli, una situazione chiara dove si può finalmente attraversare lo spazio e vederlo in una dimensione diversa, una nuova identità urbana dove costruire e immaginare.

 

Veniva capita?

«Assolutamente no. In facoltà durante una nostra lezione ci dissero “Qui si fa architettura, non arte”. Firenze e l’Italia erano impreparate a questa visione, non accettavano altro che non fosse già noto e questo atteggiamento si è contaminato anche altrove. Non ho mai compreso questa reazione ma ho continuato. Anni dopo a Montreal con il CCA il progetto è stato capito e si è sviluppato».

 

Cos’è la Supersuperficie?

«È il rapporto continuo tra questa realtà e un’altra che va oltre quella in cui ci troviamo. É super perché scavalca la nostra dimensione e si immerge in un’altra dove esiste il mio mondo».

 

credits: Gaia Carnesi

Come erano realizzati i vostri progetti?

«Spesso erano collage ma c’erano più linguaggi e tecniche: disegni, fotomontaggi, fotografie, attrezzi, happening, scritture. Con il film sulla Supersuperficie del 1972, da me realizzato, si presentava un modello alternativo di vita sulla terra introducendo il medium del cinema».

 

In quegli anni veniva pubblicato Le città invisibili di Italo Calvino. C’era una similitudine con la sua visione urbana?

«Certamente, Marco Polo, le scoperte, luoghi immaginari con nomi di donne. Calvino era riuscito a concretizzare la sua visione».

 

Crede che oggi l’architettura sia radicale come la vostra?

«Penso di si, quella di oggi è un’architettura diffusa, trasmessa a livello planetario. Il mondo delle nuove generazioni è connesso in modo internazionale, a volte mi chiedo come lo trasformeranno. Questa generazione si confronterà con l’Intelligenza Artificiale, chissà quali saranno i nuovi mezzi di trasmissione. Io ci ho creduto, l’autostrada Terra-Luna era ed è un cammino libero e diretto verso l’ignoto».

 

 

Foto di copertina: Gaia Carnesi