Sigfrido Ranucci non ha bisogno di presentazioni. Le sue inchieste hanno rappresentato un esempio quasi unico nel giornalismo italiano, per qualità, continuità e anche coraggio. Da poco uscito per Bompiani Overlook, il suo libro La Scelta racconta il suo cammino degli ultimi vent’anni, con una selezione di alcune inchieste fondamentali di cui svela i retroscena. Lo abbiamo incontrato nell’ambito del festival San Miniato dei Lettori, all’interno della rassegna La Città dei Lettori, lo scorso 26 maggio. Ne abbiamo approfittato per chiedergli del suo lavoro, del suo libro, ma soprattutto per capire quali siano gli insegnamenti per chi oggi fa o vorrebbe fare giornalismo d’inchiesta in Italia.
Molti leader politici prendono di mira privati cittadini che esprimono dissenso come fossero esponenti dell’opposizione: come siamo messi? E come è considerato il giornalismo in Italia?
«Siamo messi male. Viviamo in un contesto globale in cui i giornalisti sono fra le prime vittime dei conflitti in corso, da ogni parte. Molte testate e molte emittenti vengono fatte chiudere o messe sotto silenzio. In Italia i giornalisti sono sotto attacco costante della politica. Non si contano quasi più le querele dei politici italiani verso Report (le elenca, ndr). Questo da un lato dimostra la capacità del giornalismo, in particolare il nostro, di toccare corde sensibili del potere, incoraggiandoci quindi nell’andare avanti, dall’altro mette in luce il progressivo tentativo di delegittimazione e disinformazione».
Questo volume si intitola La scelta. Quale? Verso chi? Quali responsabilità e quali conseguenze?
«La vita (e le carriere) di tante donne e tanti uomini sono determinate dalle scelte che fanno. Ma anche da quelle che non fanno. E poi anche le scelte che non contempliamo, cioè quelle delle persone che sono vicino a noi e che ci influenzano, sia in positivo che in negativo. Questo mestiere è un esercizio di grande resilienza, che perciò riesce a trasformare un errore in insegnamento. Fare un’inchiesta significa dare paternità a una notizia, aiutare a comprenderla meglio, darle memoria. Danno coraggio a chi le fa come a chi le ascolta. Nella storia dell’umanità le inchieste hanno avuto un’importanza determinante».
Tanti sono i maestri, come Roberto Morrione, Milena Gabanelli, ma non solo. Ciascun capitolo, che corrisponde a un’inchiesta, ha almeno una figura che le ha insegnato qualcosa.
«Certo, ci sono colleghi, come Morrione, che considero il mio vero maestro, o come la Gabanelli, che con il loro esempio, la loro visione e la loro abnegazione dimostrano come l’unico vero datore di lavoro sia il pubblico dei lettori o degli ascoltatori. E soprattutto dimostrano che dal basso possono nascere inchieste che intaccano interessi enormi, ai vertici del sistema mondiale. Poi ci sono tante persone che, nel modo meno aspettato, ti danno esattamente ciò che ti serve. C’è chi ti è vicino nei momenti difficili, chi ti dà l’imbeccata giusta quando ti sembrava di essere a un punto morto».
Tra le inchieste raccontate in La scelta ci sono quelle fatte a due toscani: Verdini e Renzi. Senza fare spoiler, queste come altre tra quelle raccontate sembrano quasi dei film dei fratelli Coen.
«Entrambe abbracciano un lasso di tempo piuttosto lungo e riaffiorano una volta che sembravano definitivamente chiuse, si arricchiscono di elementi e personaggi che effettivamente sembrano usciti da un film. Per entrambe ho rischiato molto ma anche in questo caso ci sono state persone che lungo il percorso, proprio come angeli custodi, mi hanno aiutato facendosi trovare nel posto giusto al momento giusto, sparendo dalla mia vita una volta fatto il loro lavoro. Credo che dipenda dal fatto che mio padre fosse un finanziere con un senso dello stato e della cosa pubblica inscalfibile, ma ancora oggi mi scandalizzo di come spesso certi atteggiamenti del potere e certe sue concessioni possano sembrare normali e di come avvengano nella più totale accondiscendenza.»
Foto per gentile concessione de La Città dei Lettori