Un film che racconta la frustrazione, l’entusiasmo e la malinconia di 3 amici che si mettono in testa di organizzare un grande concerto punk con una band americana in una Grosseto che si trascina pigramente dall’estate all’autunno. La vita in provincia, lo scontro generazionale e il racconto di un passato ancora molto prossimo si intrecciano nel film di debutto di Niccolò Falsetti, ideato insieme a Francesco Turbanti, regalandoci una pellicola che rende con grande precisione la fotografia di una generazione divenuta adulta in un momento di passaggio.
Niccolò, quanto è punk Grosseto?
“Poco in realtà. Come qualsiasi piccola città fa a cazzotti con la cultura punk che è metropolitana\urbana e che, con tutte le sue derivazioni, per la sua natura di controcultura si distanzia dalle ideologie predominanti e dall’autoritarismo. Capita quindi che i giovani, specie nei piccoli centri, si sentano maggiormente rappresentati da questo universo”.
A cosa è dovuta la scelta di ambientare la storia alla fine dell’estate del 2008?
“Quel periodo era uno dei nostri “margini” all’interno del quale il film doveva rientrare. Questi primi 20 anni del 2000 sono molto confusi, mentre le decadi del ‘900 erano più scandite. Quando si parla di anni ’50, per esempio, sai che c’è stata un’epoca ben precisa, cosa che non si può dire del primo decennio di questo nuovo secolo. Continuiamo a chiamarli “gli anni 2000” e sono già passati due decenni che hanno portato grosse trasformazioni come il G8 di Genova, il crollo delle Torri Gemelle e la Pandemia. Il 2008 poi ha visto lo scatenarsi di una drammatica crisi economica. La mia generazione è diventata maggiorenne negli anni di questa crisi e trentenne con la pandemia.
Con questo non voglio dire che fatti importanti non si fossero verificati anche in precedenza, ma per la prima volta ci sono venuti addosso e hanno cambiato inesorabilmente le nostre vite. Nel film ci tenevo a sottolineare che nel momento in cui i protagonisti si rivolgono al Comune per chiedere uno spazio dove organizzare il concerto non gli viene detto di no perché “c’è la crisi”, come succederebbe adesso, perché i fondi in quel momento probabilmente c’erano ma si preferiva destinarli appunto a una rievocazione storica dell’assedio di Ludovico il Bavaro. È un emblema della mentalità di quel tipo di realtà: quando anche era possibile aiutare un progetto diverso veniva compiuta un’altra scelta. Un altro aspetto a cui abbiamo posto attenzione è l’oggettistica: telefoni e computer adesso in disuso perché, proprio in quel periodo, è avvenuta l’affermazione dell’età digitale. L’esplosione di Facebook, i primi iPhone, la creazione di Youtube sono tutti avvenimenti che hanno portato a un cambiamento nelle relazioni interpersonali. Tante persone già si tenevano in contatto virtualmente con MySpace, ma per incontrarti dovevi uscire di casa e fare cose insieme agli altri, proprio come i protagonisti di Margini che hanno una band e stanno insieme sentendosi meno soli. Oggi benché iperconnessi siamo più disgregati”.
Come è stato l’incontro professionale con i Manetti Bros. che hanno prodotto il film?
“È stata una svolta. Io sono stato regista di seconda unità per la trilogia di Diabolik e avevo anche collaborato a dei videoclip e alla serie L’Ispettore Colliandro. Io e Francesco li definiamo i nostri fratelli maggiori, ci hanno fatto capire che quelli che per noi erano problemi insormontabili sono tutti aspetti del processo creativo”.
A cosa stai lavorando adesso?
“Ora sto girando a Napoli con i The Jackal e siamo già al lavoro per un nuovo film sempre in collaborazione con i Manetti”.