di Salvatore Cherchi
Se dovessi scegliere una figura retorica in grado di sintetizzare l’attualità, sceglierei l’anastrofe. La sua peculiarità è quella di capovolgere l’ordine naturale del discorso, dunque del linguaggio, dunque della realtà. Da anni, infatti, nell’inconscio collettivo cresce una perturbante sensazione di capovolgimento di senso, di preludio alla catastrofe. E se ci dicessero che non è il mondo là fuori a essere sottosopra, ma solo la percezione che ne abbiamo, avremmo difficoltà a crederlo. Eppure, tutto funziona benissimo, almeno in termini universali.
Dunque, come spiegare questa asincronicità? Come comprendere che forze opposte e contrarie sono in realtà complementari e interconnesse, che il sotto è parte del sopra e l’assurdo parte dell’ordinario? Ci si può affidare a due categorie intellettuali storicamente interessate a superare i confini del linguaggio e dunque del mondo che rappresenta: filosofi e comici. I primi hanno da tempo rinunciato alla correlazione mente-mondo, per aprirsi all’assoluto e indagare la realtà al di fuori di come la percepiamo. Si può pensare qualcosa che sta al di là del nostro stesso pensiero? È una speculazione, utile a dimostrare come la contraddizione e il paradosso non siano illogicità da temere, ma elementi necessari a spiegare ciò che non comprendiamo.
Elementi, tra gli altri, che da sempre i comici utilizzano per scardinare l’ostinata razionalità e causalità che domina il quotidiano, aprendoci a una lettura del mondo imprevedibile, anomala, incongruente. Non voglio dire che i filosofi sono comici o viceversa, ma che il pensiero di queste due figure, su binari parallelo-convergenti, ci aiuta a non impazzire davanti ai paradossi dell’esistenza.
Due consigli, dunque, per addentrarsi nel teatro dell’assurdo: “Confessioni di una coppia scambista al figlio morente” (Rizzoli, 2022, 16 euro), del comico aretino Alessandro Gori; “L’assurda evidenza” (Tlon, 2022, 13 euro) del filosofo fiorentino Francesco D’Isa.