di Carlo Benedetti
Sono tornato a Firenze carico di anni e sapienza: una lunga e studiatissima barba bianca mi incorniciava il viso; degli occhiali rotondi, in finta tartaruga, chiudevano la bocca a chi avesse osato pensare: “sarà davvero saggio?”. Bellariva era cambiata, non riconoscevo più i negozi, né i vecchi a passeggio; l’albero del Madonnone era molto più grande. Sotto la mia vecchia casa, il giardino non c’era più, trasformato in posto auto. Allungai la mano a toccare il cancelletto e rimasi così, a occhi chiusi, meditando sul non-andare e sul non-tornare. Dietro di me, passavano svelti i clienti di un supermercato. Dopo cinque minuti, nella finestra della mia vecchia camera, vidi le tende muoversi. O meglio: i miei occhi videro, perché io non ero lì, né altrove. Si affacciò un ragazzino:
«Va tutto bene?»
«Certo, sto solo ammirando il giardino».
«Quale giardino?»
«Esatto» – risposi io.
Scosse la testa, ciccando la cenere sull’asfalto. Aveva dei capelli ricci e occhiali scuri, fumava come Robert De Niro. Sorrise e mi disse:
«Sedendo quietamente, senza fare nulla, la primavera giunge, e l’erba cresce da sé».
Dalla finestra del secondo piano una donna rispose:
«Entrare nella foresta senza muovere un filo d’erba. Entrare nell’acqua senza increspare la superficie».
Dal terzo piano, un vecchio a squarciagola:
«Là dove né luna, né sole arrivano: che splendido giardino!»
E poi tutto il condominio all’unisono:
«Sediamo insieme, la montagna e io, finché solo la montagna rimane».
Il ragazzino mi guardò:
«Passi lunghi e ben distesi, nonno: qui siamo tutti risvegliati».
Bellariva, in fondo, era sempre la stessa: sapeva rimetterti al tuo posto.
Thich Nhat Hanh, Chiamami con i miei veri nomi. Le poesie, trad. Chandra Candiani, Ubiliber, 2021 – 16,00€