Non è certo semplice azzardare un’analisi di quanto e come sia cambiato il mondo nell’arte negli ultimi dieci anni. Non lo è sicuramente a livello globale ma nemmeno nel piccolo per una città come Firenze. Se provo a tornare indietro con la mente al 2011 mi rivedo come una giovane liceale incerta con poca consapevolezza sul proprio futuro che, mossa solamente da un certo entusiasmo nei confronti della storia dell’arte – complice una mitica professoressa di storia dell’arte che spalancando le finestre del Miche ci indicava la Cupola esclamando “mirificus artifex!” –, si iscrisse al corso di laurea in Storia e tutela dei beni artistici.
Nel corso degli anni l’affezione per la Cupola (quindi per il Rinascimento fiorentino con i suoi protagonisti illustri e i suoi simboli più nobili) lasciò presto spazio ad altri interessi trasversali e più contemporanei a cui la città solo in parte seppe offrire adeguato spazio. La realtà accademica mi pareva strizzare l’occhio ad un moderato conservatorismo in materia di arte e musei e l’offerta formativa in campo di arte contemporanea risultava sempre carente rispetto agli altri periodi storici. Ricordo vivaci e accese polemiche per la scultura dorata di Koons sull’arengario di Palazzo Vecchio, per i gommoni di Ai Weiwei in Piazza Strozzi e per le sculture di Urs Fisher in Piazza della Signoria (una venne addirittura imbrattata!).
A torto o a ragione – non è certo il caso di approfondirne il merito – la tendenza alla critica e al rigetto del nuovo, a mio avviso, caratterizzavano nitidamente l’opinione pubblica fiorentina in campo culturale e artistico.
Lo scorso fine settimana, in compagnia della responsabile dell’Ufficio Educazione di uno dei più grandi e importanti musei d’arte contemporanea d’Italia, sono tornata a Firenze dopo un po’ di mesi – per la prima volta nella mia vita – passati fuori casa. In piena linea col comportamento tipico del nativo che torna in patria e che apprezza i luoghi che improvvisamente non sono stati più familiari, l’ho trovata bella come non mai. Mi è parsa una città così elegante, fiera, vivace e (provenendo dalla capitale) anche estremamente pulita. Palazzo Strozzi ospitava la grande mostra di un artista che non amo ma che meritava senza dubbio di essere visto, in piazza della Signoria ben due opere d’arte contemporanea erano temporaneamente allestite (senza che nessuno lo reputasse offensivo nei confronti di Baccio Bandinelli!) e in molti istituti culturali della città si trovavano allestite le belle opere della pittrice inglese Jenny Saville. C’erano turisti internazionali in fermento vacanziero ma anche tanti fiorentini seduti agli – innumerevoli! – tavolini, intenti a godersi gli ultimi raggi di sole veramente caldi nelle belle piazze della propria città.
Mi è sembrata una città un po’ più consapevole di ciò che si può improvvisamente perdere ma anche del valore di ciò che è stato riguadagnato. Mi è sembrato che potesse essere in parte risorta dalla pandemia, intenzionata a recuperare il tempo perso e che potessero essersi sprigionate energie giuste per ripartire, per cogliere (ed offrire) nuove opportunità e nuove sfide anche in campo culturale. Questa speranzosa impressione è quello che mi sono portata via risalendo sul treno. Ma forse la mia è solo una percezione ingenua e un po’ idealizzata. D’altronde si sa che la nostalgia gioca brutti scherzi.
Credits immagini: le opere sono di Jenny Saville, le foto di Ela Bialkowska Okno Studio