«Ora che vivo in campagna i ragazzi di qui mi chiamano “vecchio Paz” e, faccio per dire, ho ventinove anni»
Dopo tanto, tanto tempo, sono tornata a visitare una mostra. Era in un’altra città, Bologna. Era la mostra di un ragazzo maledetto che in trentadue anni ha tirato fuori le viscere della società, attorcigliando le nostre, o quantomeno le mie. Andrea Pazienza a ventinove anni abitava a Montepulciano, nella nostra amata e rassicurante regione. I ragazzi lo chiamavano “vecchio Paz” e lui in fondo in fondo lo sapeva, che vecchio lo era davvero.
Anche io mi diverto a scherzare sul mio essere e il mio sentire, ma adesso che la città torna lentamente a nuova vita, l’urgenza di arraffare il più possibile diventa imprescindibile. La percezione di non aver imparato una beata mazza da tutto questo è abbastanza alta ma tant’è, ricominciamo dove ci eravamo lasciati, proviamo a goderci meglio i momenti, ascoltiamo.
Negli anni di Paz, Bologna sapeva ascoltare. Ha avuto il coraggio di ascoltare il lato b, di mostrare le storie più torbide, di parlare senza freni, di toccare le coscienze. Il risultato oggi è di una città vera, onesta e risolta.
Firenze ha l’occasione di tornare all’antico splendore, togliendosi quel trucco pesante da vecchia signora e sorridere indossando vestiti leggeri. Può sporcarsi le mani di tutti i colori, può piangere e mostrarsi debole, noi le vorremmo ancora più bene. Basta non tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa.
Buona lettura!