Giuliano cantava perché sì.
Certe volte ho voglia di uscire e cantare, anzi urlare forte le canzoni che piacciono a me. In faccia alla gente. Perché sì, perché mi va. Ma non ho il coraggio. Giuliano invece ce l’aveva e girava i mercati di tutta Firenze facendo esattamente quello.
Aveva una grande scatola Giuliano, enorme come la fiducia che doveva riporre nelle persone. Se volevi ci mettevi dentro due spiccioli per ricambiare l’omaggio di una sua cantata. Altrimenti non ci mettevi dentro niente e lui cantava lo stesso. Anzi, urlava. Forte. Le canzoni che piacevano a lui e che solitamente erano quelle di Gianni Morandi.
Ai tempi ero poco meno che un moccioso e quando potevo andavo coi miei ai mercati del quartiere a comprare scarpe Abibas e felpe della Mike. Era quando ancora Naomi Klein non aveva fatto i miliardi scrivendo “No Logo” e noi ce ne fottevamo di ogni ansia no global e s’andava al mercato, perché sì. Ricordo bene la prima volta che lo vidi, anzi, che lo sentii. Perché ci prese alle spalle, a me e mia mamma, che è sempre stata una bella donna e quando al mercato qualcuno cercava d’abbordarla io m’incaricavo di fare subito la faccia del figlio stronzo che “signormio si fidi le conviene lasciar perdere perché le buco le gomme della macchina”. IO VOGLIO PER MEEEE LE TUE CAREEEZZEEEE. All’improvviso, da dietro, mentre rovistavamo spalla a spalla tra mucchi di braghette di tela, veniamo investiti dalla foga di Giuliano in piena performance di “In ginocchio da te”, immortale capolavoro di Migliacci e Zambrini che nel 1964 Gianni Morandi consegnò ad una gloria anche cinematografica grazie all’omonimo film che narrava una storia di tradimento, pentimento e rivalsa.
Ci giriamo di scatto e mia mamma, secondo il più belluino degli istinti che è quello materno, mi mette subito una mano sul petto ad allontanarmi dal presunto pericolo e si para davanti all’ignoto aggressore. SIII IO T’AMO PIUUU DELLA MIA VIIITAAAA. Scosto la testa oltre la schiena di mia mamma e guardo che sta succedendo, quando la sento ridere. E cazzo mi metto a ridere anche io. E pure Giuliano che lì per lì stava continuando imperterrito, guarda mia mamma e si mette a ridere anche lui.
“Offerta cantante Giuliano amico di Gianni Morandi e paesano”. Così stava scritto su quello scatolone. Mia mamma tira fuori il portafoglio e io mio faccio avanti per guardare quel tipo strano. “Grazie signora!”. Mia mamma mette 5mila lire nello scatolone.
Di lì in avanti l’ho rincontrato diverse volte. “Fatti mandare dalla mamma”, “Non son degno di te”, finezze come “Il giocattolo”. Urlate con andamento sincopato, tra i banchi dei mercati di tutta Firenze, dalle Cure alle Cascine. Se avete vissuto a Firenze tra gli anni ’80 e il 2005, più o meno, non potete non averlo incontrato. E se siete troppo giovani: beati voi, anche se vi siete persi l’ultimo grande poeta urbano che questa città abbia conosciuto.
Giuliano era cantante. E lo era a prescindere dalle offerte. Giuliano usciva di casa con la voglia di cantare e cantava. Urlava le sue canzoni perché sì. Non era quello che qualcuno volgarmente chiama “barbone” e non era nemmeno un esibizionista. Ricordo una volta che RaiDue, in una trasmissione dedicata a Gianni Morandi, intervistò e chiese a Giuliano di esibirsi davanti alle telecamere. Lui lo fece, ma con fare schivo, timido, lontano dalla studiata piacioneria di chi si offre al video con affettato distacco che tradisce la voglia di mostrarsi. E grazie a Dio che ai tempi di Giuliano non c’erano gli smartphone, perché in breve ne avrebbero fatto un fenomeno da baraccone di WhatsApp. Giuliano per me era e resta un poeta. Da quel primo giorno in cui lo vidi ridere con mia mamma.
Oggi suo nipote cura una pagina Facebook, “Gli amici di Giuliano!!!!”, a lui dedicata, dove raccoglie testimonianze, ricordi, foto, come quella qui riportata che forse non rende piena giustizia a Giuliano (che era uomo più affascinante di quanto qui sembri).
In quella pagina potrete anche scoprire che Giuliano era davvero amico di Gianni Morandi.
Giuliano è morto 12 anni fa.
di Tommaso Ciuffoletti