Nel 2025 ricorrono i trecento anni dalla nascita di Thomas Patch (Exeter, 1725 – Firenze, 1782), pittore, incisore, mercante e conoscitore d’arte che scelse Firenze come sua patria d’adozione. Arrivato nel 1755, dopo un soggiorno romano interrotto da un’espulsione papale, Patch trovò nella città sull’Arno un terreno fertile per la sua attività e le sue relazioni. Frequentò la comunità anglofona raccolta attorno a Sir Horace Mann, intrecciò rapporti con aristocratici ed eruditi fiorentini, divenendo presto un protagonista della vita culturale cittadina del Settecento.
La riscoperta dei “primitivi”
Se come pittore di vedute e caricaturista seppe distinguersi per ironia e talento, il suo contributo più originale fu lo sguardo rivolto ai maestri del Trecento e del Quattrocento, i cosiddetti “primitivi”. In un’epoca in cui questi artisti non godevano ancora di piena considerazione, Patch ne colse il valore e lo trasmise attraverso le sue pubblicazioni e incisioni. Opere come The life of Masaccio, The life of Fra Bartolomeo della Porta e The life of Giotto, insieme alla serie dedicata alla Porta del Paradiso del Battistero di Firenze realizzata con Ferdinando Gregori, diffusero in Europa il prestigio della scuola fiorentina, anticipando l’interesse critico che avrebbe dominato l’Ottocento.
I frammenti della Cappella Manetti
La mostra si concentra in particolare sulla vicenda degli affreschi della Cappella Manetti in Santa Maria del Carmine. Patch non solo ne documentò le scene con incisioni, ma riuscì anche a salvarne alcune porzioni prima della demolizione della cappella. Oggi questi frammenti sono dispersi in varie collezioni italiane e internazionali, ma l’esposizione al Museo Bardini riunisce sette di essi, provenienti dal Museo nazionale di San Matteo a Pisa e dalla Pinacoteca Malaspina di Pavia. Si offre così al pubblico la possibilità di confrontare direttamente le incisioni di Patch con le porzioni superstiti degli affreschi, in un dialogo suggestivo tra memoria e materia.
Un anniversario doppio
Il progetto espositivo assume un valore particolare perché unisce due ricorrenze: i trecento anni dalla nascita di Patch e i cento anni dall’apertura del Museo Stefano Bardini. La figura dell’artista inglese trova un naturale parallelismo con quella del collezionista e mercante fiorentino, poiché entrambi furono mossi da una sensibilità attenta al recupero e alla valorizzazione delle opere antiche. L’allestimento sottolinea questo filo rosso che lega il Settecento di Patch all’Ottocento di Bardini, restituendo l’immagine di una Firenze cosmopolita e crocevia di scambi culturali.
Un “anglo-fiorentino” da riscoprire
Accanto all’esposizione è previsto un calendario di approfondimenti che permetterà di esplorare ulteriormente la figura di Patch e il contesto in cui operò, dal suo rapporto con la comunità anglosassone al legame con i grandi maestri toscani. Ogni appuntamento sarà occasione per entrare nelle pieghe di una vicenda che intreccia arte, collezionismo e memoria storica.
Con incisioni, frammenti e volumi preziosi, il percorso restituisce la complessità di un artista cosmopolita e curioso, capace di trasformare Firenze non solo nella sua casa, ma anche in un ponte tra l’Italia e l’Inghilterra. Un “anglo-fiorentino” che contribuì a diffondere in tutta Europa il desiderio di conoscere la città e i suoi capolavori.