Inauguriamo una serie di tre biografie di alcuni funzionari del governo di Pietro Leopoldo di Toscana, in occasione delle celebrazioni per il 260° anniversario del suo insediamento.

Per capire come funziona il potere non basta guardare soltanto al sovrano illuminato, alle sue dichiarazioni o ai monumenti della sua memoria: bisogna seguire i funzionari, quelli che scrivono, organizzano, registrano e danno corpo alle idee. Inauguriamo oggi su Lungarno una serie di articoli per raccontare le principali riforme di Pietro Leopoldo I di Toscana in occasione dei 260 anni dal suo insediamento. La prima figura di cui abbiamo deciso di raccontarvi la storia è Pompeo Neri, uno degli sceneggiatori silenziosi di quell’epoca, nel tentativo di mettere a fuoco il lato concreto del potere.

Tra i protagonisti del governo riformatore, Pompeo Neri occupa un posto di rilievo per la profondità del suo pensiero giuridico e per la capacità di tradurre in norme l’esigenza di un cambiamento ormai maturo. Nato a Firenze nel 1706, formatosi nell’ambiente giuridico e intellettuale più aggiornato, Neri si impose come funzionario di straordinaria finezza, capace di tenere insieme rigore tecnico e sensibilità politica. La sua carriera si sviluppò dapprima sotto Francesco Stefano di Lorena e fu segnata da incarichi di peso che lo resero un punto di riferimento per l’amministrazione toscana.

La sua opera più celebre resta la riforma catastale del 1749, il cosiddetto “Catasto Neri”, un progetto ambizioso che mirava a censire in modo uniforme proprietà e rendite, riducendo privilegi fiscali e disparità territoriali. Attraverso questo strumento lo Stato intendeva conoscere con maggiore precisione le risorse del Granducato, ma anche creare un sistema più equo di imposizione. La logica era la stessa che avrebbe guidato anni dopo le riforme leopoldine: un potere centrale che, attraverso la razionalità amministrativa, si faceva garante di giustizia e trasparenza.

Accanto alla dimensione fiscale, Neri si dedicò con energia alla giustizia civile, proponendo semplificazioni delle procedure e limitazioni alle giurisdizioni particolari, come quelle feudali o ecclesiastiche. Non si trattava soltanto di innovazioni tecniche, ma di un vero progetto politico che voleva restituire la legge al suo valore universale, sottraendola agli arbitrii dei corpi intermedi. La sua azione mostrava con chiarezza come la burocrazia potesse essere il veicolo di una nuova idea di cittadinanza, in cui la legge non era privilegio di pochi ma bene comune.

Quando Pietro Leopoldo salì al trono, nel 1765, trovò un terreno già preparato da funzionari come Neri. È vero che le riforme più celebri – dal nuovo codice penale all’abolizione della pena di morte – appartengono a una stagione successiva e a figure diverse, ma senza il lavoro preliminare di razionalizzazione amministrativa e giuridica queste non avrebbero avuto la stessa forza. Neri morì nel 1776, dunque nei primi anni del regno leopoldino, lasciando in eredità strumenti e principi che avrebbero alimentato il laboratorio politico toscano.