Intervista sulla storia del gruppo di ricerca a Lapo Binazzi, architetto e designer parte del gruppo UFO.

Global Tools nasceva a Firenze nel 1973. Disobbediente, senza allievi ne maestri, sperimentava nuove strategie didattiche ispirandosi alle ricerche della transavanguardia di Antonio Bonito Oliva. Composta dai gruppi di architetti radicali, designer e rappresentanti dell’arte povera e concettuale come Ettore Sottsass, Franco Raggi, Alessandro Mendini, Gaetano Pesce, era in stretta relazione con Casabella, la storica rivista milanese di architettura. Attraverso performance, happening e seminari Global Tools rivendicava una nuova disciplina, stimolando il libero movimento del pensiero progettuale attraverso attività creative in cinque gruppi di ricerca: comunicazione, corpo, costruzione, sopravvivenza e teoria. L’architettura incontrava la magia, lo sport, l’effimero. Lapo Binazzi, architetto e designer parte del gruppo UFO, ci racconta quell’esperienza.

Lapo Binazzi

Architetto, cos’è stata la Global Tools?

«Una scuola-non-scuola che puntava a coincidere con la vita, racchiudendo tutto quello che era stato prodotto dalle avanguardie radicali. Poteva significare anche nella filosofia di Ivan Illich, a cui ci ispiravamo, e coinvolgeva cinque collettivi, due individualità come Pettena e Buti, più i collaboratori. C’era una forza pensante molto alta. Nasce a Firenze in via Melegnano, durante una riunione. Si decise così di formalizzare questo nuovo progetto attraverso uno statuto, sottoscritto da tutti i partecipanti e poi trasportato anche a Milano».

Perché questo nome?

«Letteralmente nasce da una serie di pubblicazioni ispirate da un magazine grunge americano, “Inflatocookbook”. Era realizzato da hippie californiani che costruivano le proprie comunità e per i quali era più interessante non tanto progettare l’architettura dei grandi insediamenti, quanto costruire la cuccia per il cane. Un’alternativa ai sogni di gloria dell’architettura funzionalista».

Qual è stato il momento più significativo della non scuola?

«Global Tools venne sponsorizzata da un gallerista in Brera che appoggiò l’iniziativa creando un legame con Milano. Organizzammo così dei seminari nelle case fuori città nostre o di amici. Ognuno si occupava della propria utopia. A me era stato affidato il seminario della teoria e con UFO, il mio gruppo, creammo un laboratorio artigianale di produzione di oggetti di design spontaneo e non industriale. I materiali e gli argomenti raccolti venivano poi condivisi con gli altri componenti e pubblicati nei quaderni della Global Tools».

C’era un legame con la Pop Art?

«Certamente, avevamo tutti bevuto a quella fontana di rinnovamento. Era una dimensione che sostituiva la pratica artistica all’insegnamento tradizionale. Il legame col pragmatismo d’oltreoceano ci era favorevole, perché attraverso esso destrutturavamo la scuola tradizionale. La Pop Art irruppe in questo ambiente europeo soppiantando l’idealismo con esperimenti pratici».

Copertina Casabella n.377

Qual era la vostra filosofia?

«Sostituire la scuola con la vita, imparare dalla pratica, meno speculativa dal punto di vista filosofico. Fare emergere la necessità di realizzare autonomamente gli oggetti ispirandosi all’arte e non all’industria. Questo atteggiamento omicida-suicida è stato seguito da tanti giovani studenti e attualmente è una parte fondamentale nell’insegnamento del design».

Esiste oggi un pensiero simile?

«La globalizzazione ha rappresentato una tappa teorica dell’attività degli architetti radicali anche dopo la fase dell’immaginazione al potere nel ’68, ma oggi la Global Tools rappresenta ancora il primo esempio di una pratica multidisciplinare rivolta a tutte le realtà. La teorizzazione agli inizi era molto audace, come tensione creativa e teorica. Le nuove generazioni non si sono spinte molto in là, ma l’abolizione degli specifici disciplinari ha pervaso la società. Gli obiettivi della Global Tools in gran parte sono stati raggiunti».

Cosa suggerisce a un giovane artista contemporaneo?

«Il primo insegnamento che do ai miei allievi e allieve è desiderare un oggetto e realizzarlo da sé, idearlo e costruirlo con le proprie mani. È tutta una questione di desiderio».

 

Foto Archivio Global Tools