Matteo Zanobini, produttore musicale proveniente dal mondo indipendente sta riuscendo in un’impresa praticamente unica, come lo fu forse lo scudetto del Verona del 1984 o la Premier del Leicester nel 2016: trasporre il nostro mondo indie verso il mainstream. Il suo management, include Brunori Sas, Lucio Corsi, Di Martino e Colapesce (assieme ad Emiliano Colasanti) ed i Baustelle. Nomi che hanno inciso sulla principale manifestazione nazionale, ovvero il Festival di Sanremo. 

Qual è lo stato attuale della musica italiana e che feedback hai avuto su di essa durante l’esperienza dell’Eurovision?

«Nell’era dell’AI il pubblico ha bisogno di qualcosa di vero. In un momento in cui gli autori usano l’intelligenza artificiale, cosa che facevano in buona sostanza in altro modo anche prima di questa innovazione, ho notato specialmente a Sanremo che la sensazione della “musica di plastica” è arrivata anche al pubblico mentre in precedenza era degli addetti ai lavori. Che siano cantautori o no, penso che il futuro sarà quindi di artisti veri, esistenti. Sulla percezione della nostra musica ho notato a Basilea attenzione dei media internazionali verso Lucio Corsi: molto apprezzato, forse proprio per il fatto che risulta umano, reale. Chiaramente poi la musica fatta in laboratorio per l’industria continuerà ad esistere».

Molti utilizzano la musica solo come strumento effimero di intrattenimento, senza cercare peso artistico.

«Esattamente come il cibo. Prima c’erano solo supermercati, adesso esiste anche il mondo del food: chi ne vuole usufruire lo fa, con approccio magari critico o scelte ricercate: ovviamente poi ci sarà sempre chi si nutrirà di cibi preconfezionati, è normale e giusto».

Vieni dalla provincia e arrivi a Milano. La centralità di questa città, dove abiti, sarà per sempre o senti la voglia di tornare da dove hai iniziato?

«Mi sento nel mezzo: Milano mi ha dato gli strumenti per lavorare ma sento di venire sempre da fuori. Anche se dentro la realtà milanese, stare esterno consente di leggere la realtà con un occhio diverso, critico, e di scoprire sfaccettature diverse all’interno del mondo musicale. Essere dentro a Milano al 100% ti rende parte dell’industria, ma se hai un piedino in provincia riesci a intercettare e donare molto alle persone “normali”. Milano, per sintetizzare, fa cose solo per milanesi. E Milano non è il mondo».

Hai un rimpianto su un artista con cui avresti voluto lavorare?

«Tommaso Paradiso. Si era proposto, e sul momento ero pentito di non aver chiuso. Ma con me forse avrebbe avuto un percorso diverso da quello più appropriato per lui».

Disco e film della tua comfort zone.

«Attualmente sto ascoltando Roseland NYC Live dei Portishead.  Per il resto non riesco a guardare nulla, visto che banalmente mi addormento dopo due scrollate sui social. Recentemente ho fatto una cosa bella, da anziani: mi sono visto su RaiTre il bellissimo documentario su Morricone, “Ennio”, non on demand ma sul divano, alle 21. Sembra strano eh?».

 

Crediti fotografici: FrancisDelacroixStudio