di Veronica Pennisi
La prima cosa che colpisce è la luce. Come s’intrama nello spazio e taglia le opere d’arte. Esiste una galleria giovane a Firenze che ha ancora voglia di sperimentare e di rischiare per i propri artisti. È il caso Galleria La Fonderia, ubicata in Via Della Fonderia, 42R. Abbiamo incontrato Niccolò Mannini, suo gallerista e fondatore, e Filippo Cigni, artista emergente attualmente in scuderia.

Filippo Cigni, Annunciazione II, 2025, acciaio, corda di chitarra (DO), cera vergine, pigmento, piombo, stagno, specchio e leggio, misure ambientali
Niccolò, come nasce il progetto La Fonderia?
Ho aperto la Galleria nel 2018, dopo anni di lavoro e ricerca nell’ambito artistico. Durante la mia formazione ho imparato a sentire le opere pittoriche, ad empatizzare con loro; mi sono interessato allo studio della materia, alla luce, al volume, alla profondità, al gesto. Era il 2017 quando ho maturato il desiderio di lavorare con artisti contemporanei, viventi, con cui intessere relazioni, fare scouting. Un anno dopo ho aperto la Galleria, poi per fortuna è arrivato il Covid.
Perché “per fortuna”?
Perché la pandemia mi ha permesso di ripensarne il ruolo. La rivelazione è arrivata grazie alla lettura di Leo Castelli, che nella seconda metà del ventesimo secolo ridefinì il metodo di curare l’artista, concentrando gli sforzi non solo sulla vendita delle opere, ma investendo su di essi e sulla promozione del loro talento. È quello che cerca di fare oggi la Galleria: credere nei propri artisti, dialogare con loro, costruire relazioni sul territorio, con il pubblico, i collezionisti, le imprese, le fondazioni.

opere di Filippo Cigni e Roberto Ghezzi
Quando si sceglie un artista è l’opera a parlare per lui o viceversa?
Gli artisti si trattano di testa, ma si scelgono di pancia. Quello che conta è la ricerca che ognuno porta avanti, è importante comprenderla attraverso l’arte: sentire l’opera innanzitutto, non l’ego. Altrimenti qualcosa stona. Un esempio lampante è l’allestimento della mostra attualmente in galleria. Represented by racconta il lavoro di rappresentanza che quotidianamente facciamo con i nostri artisti, ma mette anche in luce la loro grammatica visiva. Emergenti, mid-career e affermati dialogano tra loro, come l’emergente Filippo Cigni e l’internazionale Roberto Ghezzi che è attualmente alla Biennale di Architettura. Quando abbiamo allestito questa mostra sembrava che ogni specifica cantasse a modo proprio; oggi invece abbiamo una traiettoria comune, una sinfonia armonicamente intonata.
Come si colloca La Fonderia nel panorama fiorentino? Qual è la sua missione sul territorio?
Ci inseriamo sulla scia delle poche gallerie rimaste con una missione sociale. Con missione sociale intendo che l’arte riflette sempre una domanda. Persino il più banale perché può attivare uno sguardo critico che genera vantaggio per l’intera comunità. Certamente Firenze non è una piazza facile, ci sono gallerie che lavorano ormai da anni con artisti storicizzati, richiamando grandi flussi turistici. Personalmente ho imparato molto da Santo Ficara, che ha portato artisti non ancora conosciuti ad avere grande successo. Mi ha insegnato che talvolta vale la pena rischiare per loro.
Il 29 maggio avete inaugurato il progetto espositivo Represented by, attualmente in galleria fino al 31 luglio. Chi sono i protagonisti della nuova esposizione e come dialogano tra loro?
Represented by nasce con la volontà di rendere visibile il lavoro quotidiano della galleria nella promozione dei suoi artisti, con uno sguardo rivolto alla profondità delle loro ricerche individuali. Te lo mostro attraverso Annunciazione II di Filippo Cigni e Gli occhi della montagna di Roberto Ghezzi, proprio in virtù di questo dialogo tra artista emergente e internazionale.
Ghezzi lascia che sia il paesaggio a dipingere se stesso, come aveva già fatto nel 2023 alla GNAM, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, con una selezione di lavori sul Tevere realizzati lungo il corso del fiume. Anche qui è l’Annapurna himalayana a raccontare il suo sguardo sul mondo, sugli esseri umani che la attraversano, sul sole che quotidianamente vede albeggiare e tramontare. Per far ciò, utilizza lattine come camere oscure, catturando per trenta giorni la luce del sole su carta fotografica. È come se le solarigrafie tratteggiassero gli occhi alla montagna, restituendoci il colore blu dei -30 gradi e la curva stessa della luce del sole. A fianco dell’originale esposto alla Fonderia campeggia Annunciazione II di Cigni, un’opera solo apparentemente molto diversa. A ricucirle tra loro ci pensa la geografia della luce.
In che modo? Filippo, ce lo spieghi?
La luce è il fulcro. La mia opera parte da una rimembranza dell’Annunciata di Antonello da Messina. Troviamo tutti gli elementi cari all’iconografia mariana: il leggio che sostiene il manoscritto sul quale è impegnata Maria prima dell’arrivo dell’angelo, la seduta… l’iconografia di una Maria che tuttavia è assente. È come se si trattasse di un’icona inversa. Abbiamo un cuore di cera vergine al centro dell’opera, saldato ad un pendolo di piombo, il cui oscillare sa di profezia. Il messaggero è rappresentato dall’apertura alare dello specchio sul leggio. È quella apertura alare che conduce la luce al cuore di cera, che se ci trovassimo all’aperto si scioglierebbe. Una purificazione attraverso la luce.
Grazie. Ci salutiamo domandando a Niccolò quali saranno i prossimi incontri della Fonderia.
Il 4 ottobre avremo l’inaugurazione della personale di Giuseppe Barilaro, uno degli ultimi artisti preso in scuderia. Il suo lavoro sarà interessantissimo, con una tecnica basata su pittura e combustione. La sua personale durerà fino a fine novembre.
Photo Credits Fabio Bernardini