di Erica Fialà
A Palazzo Medici Riccardi, da aprile a settembre 2025, è allestita la più grande mostra monografica mai realizzata prima su Giovan Battista Foggini, ideata e curata da Riccardo Spinelli per celebrare i trecento anni dalla morte del poliedrico artista granducale. Con questa iniziativa, sostenuta da Città Metropolitana e realizzata da Mus.e, si vuole rendere omaggio all’opera e alla visione di uno dei grandi protagonisti della Storia dell’Arte e dell’Architettura fiorentina, tra i meno noti al grande pubblico di oggi ma tra i più influenti dell’epoca tardo-medicea. Per capire meglio la genesi e gli intenti dell’esposizione abbiamo intervistato Valentina Zucchi, responsabile scientifica del progetto per la Fondazione MUS.E, che cura la valorizzazione di Palazzo Medici Riccardi e dei Musei Civici Fiorentini.
La figura di Foggini è stata centrale nella Firenze barocca ma è quasi del tutto sconosciuta per il grande pubblico contemporaneo. Che tipo di artista incontreremo attraverso questa mostra?
Un artista che ha plasmato il volto di Firenze tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento con un’attività prolifica durata circa cinquant’anni. Foggini potrebbe anche essere chiamato il Bernini Fiorentino, avendo contribuito significativamente a portare la meraviglia del barocco nella nostra città. Si era infatti recato appositamente a Roma per volere di Cosimo III de’ Medici e finì per interpretare gli stilemi del barocco romano in chiave del tutto personale. Lavorò utilizzando diversi linguaggi artistici con molteplici declinazioni, connotando in maniera molto precisa e ampia lo stile della nostra città, nota in tutto il mondo per essere una città rinascimentale ma che è vivacemente ricca di interventi barocchi inseriti su una stratigrafia artistica precedente. Palazzo Medici Riccardi, la sede di questa mostra, ne è un esempio emblematico, poiché sul suo nucleo rinascimentale si è innestato in maniera organica, per gli occhi del visitatore contemporaneo, l’intervento architettonico del Foggini.

Foto: Nicola Neri
Il percorso espositivo è ampio e ricco di sezioni, dalla scultura all’architettura, dagli oggetti preziosi all’esposizione di documenti e carteggi della Biblioteca Riccardiana. Come avete costruito questa narrazione insieme al team curatoriale di Mus.e?
Vorrei prima di tutto ringraziare Riccardo Spinelli, ideatore, curatore della mostra nonché massimo conoscitore di Giovan Battista Foggini, che ci ha permesso di realizzare un’esposizione di altissima qualità scientifica. Insieme a lui e alla squadra di lavoro composta dagli esperti di Città metropolitana e di Mus.e, abbiamo definito un percorso che vuole restituire al grande pubblico la molteplicità di ambiti di intervento del Foggini, una mostra monografica completa della sua attività. Foggini mosse i suoi primi passi nella scultura grazie allo zio intagliatore e scultore, parallelamente fu introdotto alla tecnica del disegno e si esercitò in questo campo anche nel suo periodo di formazione romana. Si destreggiò nella lavorazione dei diversi materiali, dal legno alla terracotta, approdando al marmo: ne sono un esempio le opere commissionate dal Re Sole (ricevute in prestito dal Louvre ndr) esposte in mostra nella Galleria terrena del Palazzo e che risalgono alla metà degli anni Ottanta del Seicento. Foggini si dedicò ben presto anche alla scultura del bronzo: è esposta, per esempio, una meravigliosa crocifissione delle Gallerie degli Uffizi, così come sono presenti in mostra numerosi bronzetti, esiti dela sua brillante carriera. Accanto a essi, abbiamo voluto mostrare i bozzetti preliminari e le derivazioni successive, in cera, porcellana o stucco, che ben illustrano il processo precedente la fusione e le possibilità di repliche. La sua padronanza tecnica lo rese capace di restituire particolari di grande eleganza e spregiudicatezza compositiva: riuscì a rendere il movimento dei soggetti attraverso una sorta di danza plastica sviluppata a 360 gradi nello spazio. Nell’ultima sezione della mostra, poi, abbiamo inserito straordinari manufatti in pietre dure che evidenziano l’abilità sviluppata dalle Manifatture fiorentine nell’intarsio di pietre naturali preziose e semipreziose, in dialogo con metalli nobili: molti degli oggetti esposti furono concepiti come doni per nobili e principi d’Europa (con lo scopo di ostentare la ricchezza e la gloria medicea ndr). Ancora, le Sale Fabiani del Palazzo sono dedicate agli scatti fotografici di Paolo Bacherini e ci consentono di evocare la pervasività delle architetture fogginiane in città, aspetto a cui dedicheremo alcuni percorsi ideati con l’Ufficio Firenze Patrimonio Mondiale e Rapporti con Unesco, dalla Basilica della Santissima Annunziata alla Cappella Corsini in Santa Maria del Carmine.
La mostra raccoglie opere provenienti da istituzioni internazionali prestigiose come il Louvre, il Bayerisches Nationalmuseum e il Minneapolis Institute of Art. Qual è stato il processo per ottenere questi prestiti eccezionali?
Ciò che è avvenuto per questa mostra è frutto di un impegno pluriennale e di una credibilità istituzionale sviluppatisi nel tempo, grazie all’impegno di Città Metropolitana e di Mus.e nell’attestare Palazzo Medici Riccardi come sede espositiva di qualità. Quando un’Istituzione presta un’opera deve fidarsi del proprio interlocutore e bisogna essere molto precisi in termini di tempi, condizioni espositive, parametri microclimatici, condizioni di movimentazione, trasporto e allestimento Il curatore incaricato di accompagnare le opere del Louvre, quando è arrivato a Palazzo, ha condiviso con noi la fiducia che un museo prestigioso come il Louvre pone in noi: godere di una tale stima è un aspetto prezioso. Il museo parigino ha inoltre curato il preliminare restauro delle opere (il Cinghiale e l’Arrotino esposti nella Galleria terrena) prima di inviarle in mostra, confermando la bontà di un rapporto istituzionale di cui ci sentiamo onorati.

foto: Nicola Neri
La mostra non vive solo negli spazi museali ma si sviluppa anche all’esterno con attività pensate per coinvolgere il pubblico più ampio e le famiglie con atelier e itinerari urbani. Quanto è importante per voi di Mus.e coniugare alta divulgazione e partecipazione collettiva?
Abbiamo ideato un preciso programma di divulgazione e partecipazione pubblica attraverso visite guidate, itinerari, attività educative e atelier per famiglie con l’intento di relazionarci con un bacino di visitatori sempre più ampio. La relazione con i fruitori è fondamentale per noi perché il patrimonio culturale trova il suo senso nel costituire un arricchimento collettivo della vita delle persone, nell’aumentarne il senso di appartenenza alla comunità e al territorio e nell’offrirsi come strumento per coltivare la cittadinanza attiva e l’inclusione. Organizziamo visite guidate per giovani e adulti tutti i fini di settimana, così come abbiamo previsto anche un atelier sulla scultura in cui i bambini lavoreranno con il gesso e con le tecniche di formatura: immaginiamo che questo possa fornire spunti interessanti sia per le famiglie che per le scuole, già presenti in prenotazione, attraverso le Chiavi della Città. Lavoreremo con una profondità ancora maggiore sulle tecniche artistiche attraverso il formato A scuola d’arte, così come proporremo i percorsi fogginiani in città, a cui ho già accennato: a maggio, per esempio, accompagneremo in visita in alcuni luoghi del centro cittadino, fra cui la sua casa-bottega di Borgo Pinti e altri luoghi speciali. Una volta al mese attiveremo infatti una serie di percorsi che porteranno a scoprire palazzi, chiese, ville di particolare rilievo per l’operato dell’artista, proponendo una visione di Firenze intesa come museo diffuso e patrimonio mondiale dell’Unesco. Tutto questo lo proponiamo anche come fruizione autonoma, perché nella pagina on line della mostra sono elencati tutti i luoghi proposti con gli indirizzi e le modalità di accesso.
Tra le opere più affascinanti della mostra troviamo i bronzetti ispirati alle Metamorfosi di Ovidio. Che ruolo hanno avuto i riferimenti letterari nel lavoro di Foggini?
La Letteratura ha rappresentato un aspetto importantissimo, fondamentale in tutto il suo lavoro. L’inventario redatto alla sua morte ci racconta di centinaia di libri che insieme alle numerose opere si trovavano nel suo studio; nella caricatura che abbiamo presentato in fac-simile a inizio mostra Foggini è rappresentato con un libro in tasca. Anton Domenico Gabbiani, l’autore del disegno, ce lo mostra con le Storie di Guicciardini, a sottolineare il suo interesse per la conoscenza. Le fonti narrano che egli scolpiva o leggeva e quando scolpiva si faceva leggere qualcosa da uno dei suoi figli. Il sapere e la cultura erano sicuramente fra i suoi interessi primari: era uno “scultore dotto”. È evidente che tutto questo influenzò anche la sua produzione artistica, in un periodo colto come il Barocco e in un ambiente come quello fiorentino, ove i riferimenti letterari o filosofici erano importanti e anche gli strumenti grazie a cui presentare temi, valori e principi. A questo si affianca l’interesse per la storia sacra e per la religione: sappiamo che Cosimo III viveva la devozione con assoluta profondità, aspetto particolarmente insistito nella storiografia. Certo è che questa attenzione alle figure e agli aspetti sacri ha determinato una produzione incredibile anche in ambito religioso.

Valentina Zucchi, foto di Caroline Aspas
Osservando le sculture del Foggini sembra quasi di notare un’allusione scenica, teatrale, un riferimento all’Opera, nata nella corte medicea all’inizio del Seicento. È possibile intravedere un riferimento a questa nuova forma d’arte intesa come luogo della meraviglia e dello stupore che permeò tutta la cultura barocca?
Assolutamente sì, l’Arte barocca è teatro, scenografia e impianto maraviglioso. Sicuramente il Foggini seguiva, frequentava e conosceva gli sviluppi del teatro e dell’Opera nella Firenze dell’epoca. Non abbiamo attestazioni dirette o riferimenti esatti, ma sicuramente era un uomo del suo tempo che gravitava intorno alla Corte Granducale e che assunse incarichi rilevantissimi, diventando primo scultore granducale, poi architetto e direttore delle Manifatture di Gallerie degli Uffizi; quindi sicuramente seguiva e apprezzava tutto ciò che Firenze proponeva a quel tempo. Ma ancora prima ancora del teatro, fu l’arte in quel periodo a diventare meraviglioso spettacolo, anche grazie a un virtuosismo tecnico portato ai massimi livelli. Le strepitose cassette in pietre dure che esponiamo sono di un’opulenza ostentata e la teatralità delle composizioni scultoree, l’attenzione alle pose, ai gesti e alle espressioni delle figure sono tipiche del periodo.
L’allestimento rivela un equilibrio tra rigore scientifico e impatto emotivo, come siete riuscite a raggiungere questo risultato, il team femminile di Muse ha dato un’impronta al lavoro curatoriale?
A proposito di questo ci tengo a ringraziare Luigi Cupellini, l’architetto che ha firmato l’allestimento interpretando al meglio il pensiero del curatore e lo spirito della mostra. La scelta del colore di fondo che richiama quello della Galleria fogginiana sul giardino è una sua proposta e ci ha trovato subito concordi, così come di sua proposta è l’innesto di ingrandimenti dei disegni del Giornale degli Uffizi che restituiscono in maniera più completa l’ampiezza di lavoro del nostro, ponendoli in dialogo con le opere esposte. Mi piace citare e ringraziare Opera Laboratori Florentini, che si è posta come partner importante, e naturalmente la straordinaria squadra femminile di Mus.e, che Riccardo Spinelli ha definito le cavaliere del Foggini: Roberta Masucci, Giada Margheri e Gaia Chimenti, uno staff di grande competenza, passione, entusiasmo e intelligenza, senza il quale la mostra non si sarebbe potuta realizzare. La progettazione del percorso espositivo, la cura delle sezioni tematiche, la scelta delle luci e degli apparati didattici, l’attenzione al dettaglio portano la firma di un’équipe affiatata e multidisciplinare, che ha lavorato fianco a fianco per presentare e raccontare Foggini con sensibilità contemporanea. La mostra è dunque molto più di un omaggio storico ma una vera celebrazione della cultura, della creatività e della bellezza, dentro e fuori le sale del museo.

Foto: Nicola Neri
I documenti esposti, come il Giornale degli Uffizi e il Carteggio fogginiano, aggiungono uno spessore raro. Come ne è stata curata l’integrazione nel percorso espositivo?
Accanto alle opere, testimonianze materiali e visibili, le fonti costituiscono nella storia dell’arte il secondo grande pilastro della conoscenza: esse ci consentono di verificare le ipotesi, di dare risposta alle incertezze, di approfondire aspetti legati alla committenza o all’esecuzione, ma anche di conoscere elementi preziosi connessi alla vita e alla poetica di un artista. In questo senso il Giornale e il Carteggio, provenienti l’uno dalle Gallerie degli Uffizi e l’altro dal Seminario arcivescovile, si pongono come esempi assai significativi. Il Giornale è una riserva ricchissima (si tratta di 171 carte) di disegni, progetti, repertori, modelli che esprime al meglio il talento e lo spirito di Foggini in tutti gli ambiti artistici; il Carteggio, costituito da due corpose filze, è invece un tesoro inestimabile per ricostruire le relazioni che il nostro ebbe con altri artisti, con committenti e familiari lungo tutta la sua vita: le lettere ci permettono di cogliere i tratti di un percorso biografico fatto di esperienze, riferimenti, affinità, ricordi, rivivendone l’attualità e il senso… come se Foggini fosse qui.