Scrivo le prime parole di questo pezzo seduto in un vagone di seconda classe di un Frecciarossa. Prima di prendere il treno ho preso un autobus, ho attraversato una stazione, ho bevuto un caffè al bar, ho aspettato sulla banchina. Più tardi salirò su una metro, attraverserò strade e piazzali, entrerò tronfio in un’aula universitaria. Apparentemente, quello che avete letto è un resoconto poco entusiasmante di una vita qualunque.
Eppure ho compiuto queste azioni con una consapevolezza rinnovata, che deriva dalla lettura di Tecnologia della rivoluzione di Diletta Huyskes, edito a giugno 2024 dal Saggiatore. In poco più di 200 pagine, Huyskes scrive con approccio critico e dialettico una breve storia recente del rapporto tra tecnologia, classi dominanti e design. Più nello specifico, l’autrice dimostra come nessuna tecnologia e nessun manufatto che da essa deriva, dal microonde alla bicicletta, dai sedili degli autobus alla bomba atomica, fino ad arrivare ai sistemi di controllo automatizzati e “intelligenti” delle polizie del XXI secolo, è neutrale e creato soltanto per amore universale del progresso. Al contrario, la tecnologia è tanto il prodotto quanto il riflesso degli interessi e del modo di pensare (e di immaginare la realtà) delle classi dominanti.
Il libro di Huyskes ha svariati meriti. Il primo: l’approccio critico e dialettico alla materia di cui tratta. Non è così scontato, in un panorama editoriale che tende a inseguire temi (fortunatamente) mainstream – per quanto mai scontati con i tempi che corrono – riuscire a conciliare lo studio di una questione apparentemente semplice e sulla bocca di molte persone con un’analisi critica così approfondita.
L’argomentazione di Huyskes fonde discipline molto distanti tra loro con la stessa profondità analitica, dalla storia della scienza a quella dei femminismi, dall’ingegneria alla filosofia del Novecento, tanto da chiedersi durante la lettura, senza successo alcuno, a quale background di studi e di lavoro appartenga chi scrive il libro – domanda forse figlia di troppa iper-specializzazione dell’editoria, che chiede spesso alla persona-esperta-di-qualcosa di scrivere libri più per incasellamento e smania di vendita che per reale interesse verso il contenuto del libro, o senza che la persona esperta di turno abbia davvero qualcosa da dire. Huyskes ha molto da dire e lo fa, a mio parere, molto bene, con accuratezza e precisione argomentative, profondità di ricerca e di pensiero, esattezza nell’esposizione dei fatti e delle tesi, con un linguaggio che non ammicca al lettore e non ha paura, in certi passaggi, di essere complesso.
Il secondo: riuscire a dialogare con il tanto materiale esistente sul tema. Per chi l’abbia letto, o per chi ne abbia soltanto sentito parlare, sono ad esempio molti i punti di contatto tra Tecnologia della rivoluzione e Gender tech di Laura Tripaldi, edito alla fine del 2023 da NERO, un libro che ha alimentato molto il dibattito in Italia. Huyskes cita anche esplicitamente Tripaldi, e nel saggio della prima riecheggiano molti discorsi preesistenti, eppure Huyskes riesce ad avere una voce originale e innovativa proprio perché sa dialogare con ciò che le sta intorno.
Il terzo: essere un libro politico. Uso il termine forse a sproposito e senza il beneplacito dell’autrice, ma credo che abbia un senso definirlo così. Huyskes non è apertamente politica nella scrittura, non scrive un testo “militante”, eppure è politica la sua esattezza, la sua profondità, il suo approccio dialettico all’oggetto del testo. Viviamo un contesto politico di semplificazioni, frasi a effetto, sparate che distraggono, confondono e annacquano volontariamente il dibattito pubblico, tentativi di depistaggio dell’attenzione collettiva tra promesse di deportazione e negazione dei diritti in tutto l’occidente. Huyskes, nello scrivere un testo femminista di grande portata, in cui evidenzia con cura come gli uomini abbiano modellato da sempre la realtà – e più in generale le classi dominanti ai danni di quelle subalterne – aggiunge alla materia la forza e la coerenza argomentativa. Questa è forse la chiave in più per essere politici oggi.
Il mese scorso le pagine di Lungarno hanno ospitato le parole di Giulia Siviero attorno al suo Fare femminismo, un libro sì militante, che nasce da una storia personale di lotta politica e dialoga con il passato dei movimenti femministi, soprattutto degli anni Settanta. Huyskes dialoga con la storia del pensiero, che si fa oggetto, tecnica, design, ma anche repressione, controllo e sottomissione delle persone più fragili, riproduzione di uno status quo. La tecnologia non è mai stata e non sarà mai neutrale, è appannaggio e strumento di dominio dei ricchi e degli uomini (le due cose storicamente coincidono spesso), spetta a noi riuscire a immaginare, disegnare e realizzare un mondo diverso.