Il 24 gennaio arriva al Viper Theatre delle Piagge uno dei gruppi alternative italiani più interessanti e chiacchierati. Si fanno chiamare Post Nebbia, escono sulla notevole etichetta Dischi Sotterranei e a Firenze presentano l’ultimo lavoro in studio Pista Nera. In attesa di vederli live, il loro habitat preferito, abbiamo fatto due chiacchiere con il frontman, Carlo Corbellini.

Nel nuovo album c’è molta più rabbia e suoni abrasivi rispetto al passato… qualcosa in particolare vi ha fatto incazzare?

«Direi di no, è più in generale una sensazione di disagio nei confronti della direzione discendente del periodo storico in cui ci troviamo, che ci spinge a stare sulla difensiva, quando invece dovremmo essere attivamente impegnati a rendere il mondo in cui ci troviamo un posto migliore di come l’abbiamo trovato. Mi sembra che la risposta a questo, sia da parte della politica che da parte nostra, consista in fallimentari tentativi di preservare il più possibile un mondo che è già morto».

La vostra musica è un caleidoscopio di generi e influenze. Come la descrivereste voi?

«Il perno su cui giriamo è sempre lo psych rock, ma cerchiamo di declinarlo con ogni disco in un modo diverso. Quest’ultimo prende molto dal punk, dal krautrock e un po’ dalla musica brasiliana anni ’60/’70».

La parola post punk, a cui siete spesso associati, sembra essere sempre più inflazionata fino ad arrivare anche ai grandi talent televisivi. Vi sentite di far parte di questa corrente?

«Non particolarmente, in realtà. Sicuramente c’è un’atmosfera un po’ più dark con questo disco, ma ci sono molte altre influenze. È in generale difficile dirsi appartenenti a un genere in particolare in questo periodo storico, siamo esposti a tantissima musica e quello che esce testimonia questa varietà».

Nella recente finale del Rock Contest di Controradio, svoltasi nel locale che ospiterà anche voi, abbiamo notato un netto ritorno alle chitarre e al suonato nelle giovani band. Avvertite anche voi questa sensazione?

«Sì, credo che se il synth è stato il protagonista degli anni ’10, questo decennio sta vedendo il ritorno di band e sonorità più grezze. Penso sia una cosa ciclica».

Avete la fortuna di avere una booking strutturata e di suonare molto, ma la situazione “musica live” in Italia ci sembra un po’ alla deriva. Cosa ne pensate?

«Sia per la booking che per l’etichetta ci sentiamo privilegiati. Purtroppo in Italia c’è una situazione per la quale il mondo dei concerti è lasciato a sé stesso dalle istituzioni, che non lo considerano un’industria culturale degna di attenzioni come il teatro o i beni antichi. Nella maggior parte dei paesi europei a noi prossimi ci sono politiche che incentivano i club, o perlomeno delle politiche fiscali adatte».

 

Crediti fotografici: Riccardo Michelazzo