Nata nel 1984 a New York da genitori israeliani, Ruth Patir è cresciuta e attualmente vive a Tel Aviv. Ha conseguito il Diploma in Belle Arti alla Bezalel Academy of Art and Design di Gerusalemme nel 2011, poi un Master of Fine Arts in “New Genres” presso la Columbia University di New York nel 2015. Lavora su un’ampia gamma di temi, che vanno dall’esperienza personale a tematiche sociali più ampie come le questioni di genere, la tecnologia e i meccanismi nascosti del potere, usando stili e tecniche diversi spesso giustapposti.
Abbiamo partecipato al panel con Ruth Patir a L’Eredità delle Donne il 23 novembre scorso, durante il talk Il mondo è in fiamme ed è stata un’occasione unica per riflettere sull’incontro tra arte, politica e attivismo, con gli occhi di un’artista, donna, israeliana.
Ruth Patir aveva già fatto parlare di sé per qualcosa che superava la sua poetica e le sue opere. Protagonista del Padiglione di Israele alla Biennale di Venezia 2024, aveva deciso di chiuderne le porte fino al raggiungimento di un cessate il fuoco in Medio Oriente e al rilascio degli ostaggi israeliani. «Mi oppongo fermamente al boicottaggio culturale, ma poiché ritengo che non ci siano risposte giuste e posso fare solo ciò che posso con lo spazio che ho, preferisco alzare la voce con coloro con cui sto nel loro grido, cessate il fuoco ora, riportate le persone dalla prigionia. Non ne possiamo più», aveva dichiarato l’artista, difendendo un gesto simbolico, potente e controverso. Tuttavia la Biennale si è chiusa il 24 novembre, pertanto il padiglione Israele è rimasto chiuso, lasciando solo una locandina affissa sulla porta di ingresso.
Allo stesso tempo, il lavoro di Patir, M/otherLand, è tutt’altro che scontato e disimpegnato. È un’installazione fisica e multimediale che fonde antichità e futuro, femminilità e tecnologia, interrogando il controllo che lo Stato e le politiche riproduttive esercitano sui corpi delle donne e che merita di essere vista, vissuta, interrogata. Queste figure antiche non sono solo oggetti storici, sono testimonianze viventi di lotte che attraversano il tempo e lo spazio, dall’antica Giudea al nostro presente tecnocentrico. La decisione di non aprire il Padiglione non cancella quindi, ma amplifica il messaggio dell’opera, trasformandola in un atto di resistenza che chiede al pubblico di fermarsi, ascoltare, riflettere. Patir ci ricorda che l’arte non può limitarsi ad essere contemplazione passiva.
(M)otherland è stata acquisita lo scorso dicembre dal Jewish Museum di New York, mentre la pubblicazione (settembre 2024) del volume omonimo uscita include testi dei curatori Mira Lapidot e Tamar Margalit, Noam Gal e Keren Goldberg, oltre a un dialogo tra l’artista ed Eva Illouz.
Crediti fotografici: Jewish Museum NY, Oncurating