di Arianna Armani e Fabio Ciancone

Nel numero di Lungarno dello scorso settembre abbiamo inaugurato una serie di approfondimenti sul tema dei consultori, presidi sanitari essenziali per la comunità di un territorio. Di seguito riportiamo l’intervista a Simona Dei, Direttrice Sanitaria dell’Azienda Usl Toscana centro.

Quali sono, a suo parere, gli aspetti del servizio ginecologico dei consultori fiorentini che funzionano meglio e quali quelli su cui andrebbero investite maggiori risorse economiche? 

Per risolvere questi problemi non sempre è sufficiente investire maggiori risorse economiche: non sempre maggiori investimenti si traducono in esiti positivi sulla vita delle persone. Nei consultori, ad esempio, non si effettuano solo prestazioni sanitarie, ma ci si inserisce nella vita di persone che spesso hanno anche problemi di ordine familiare o sociale. Partiamo dal percorso nascita, ben funzionante per persone che si affidano al consultorio, con servizi ben definiti e cadenzati. Funziona altrettanto bene il percorso dell’interruzione di gravidanza, almeno nella nostra realtà, poiché entrambi organizzati in modo da tutelare sia chi sceglie di avere una non-maternità consapevole, sia chi desidera una maternità-consapevole. Ricopro il ruolo di Direttrice Sanitaria dell’Azienda Usl Toscana centro da un anno e in questo arco di tempo non ho mai avuto delle segnalazioni di bisogni che non siano stati rispettati all’interno dei limiti temporali previsti. L’ambito su cui bisogna investire più risorse è la sensibilizzazione dei giovani: è un ambito estremamente variabile perché non si tratta più, come si pensava una volta, di mettere a disposizione uno psicologo, un assistente sociale, un’ostetrica e un ginecologo e aspettare che i ragazzi arrivino; si tratta, invece, di farsi conoscere all’interno delle scuole, usare nuovi canali di comunicazione per intercettare le loro richieste e sviluppare con loro una relazione. Nonostante non sia semplice, i numeri all’interno dei consultori giovani della Toscana Centro sono aumentati. Sono necessarie maggiori risorse anche per le scuole, per i comuni, per creare luoghi di socialità dove tutti insieme possiamo gestire programmi e azioni che possono essere utili ai ragazzi.

Secondo alcune testimonianze, uno dei maggiori problemi nell’accesso al servizio sono spesso le code, anche a fronte di orario del servizio ridotti. Eppure, la tempestività è un tema fondamentale quando si tratta di IVG. Quali sono le cause e secondo lei esistono delle soluzioni attuabili nell’immediato? 

Per prima cosa sarebbe utile capire per quali servizi fanno la coda le persone. Ad esempio: per andare dall’ostetrica a fare un pap test, normalmente viene preso appuntamento. Un percorso come quello dell’IVG comporta vari step e quindi un controllo prima, durante e dopo l’interruzione. Le fasi del percorso non servono a complicare la vita alle persone, ma ad accertarsi che tutto vada a buon fine. Nella nostra USL stiamo organizzando i servizi in modo da avere dei consultori principali, dove vengono forniti più prestazioni, anche con più personale, e garantire anche la capillarità con servizi in sedi più piccole. Non devo essere io a far notare la riduzione di attrazione del personale nei confronti della sanità pubblica: vi sono alcune specialistiche che ormai, soprattutto per i giovani, hanno più fascino nel settore privato piuttosto che nel mondo del pubblico e la ginecologia è una di queste. Nel settore privato è più facile la gestione del tempo, della clientela, non ci sono problemi di turni, non ci sono turni notturni… è compito nostro far innamorare di nuovo i ragazzi della sanità pubblica, è la mia missione prioritaria, cercando di organizzare la distribuzione nelle sedi del personale e favorire sempre di più i ragazzi che escono dalle università, affinché tornino a lavorare un po’ di più in sanità pubblica. Questo problema per tutti gli ambiti sanitari. Bisogna avere sguardo a lungo termine, nella sanità è necessario ragionare su cosa accadrà tra 10 anni.

Nel numero di settembre abbiamo pubblicato un’intervista a Non Una Di Meno, che ha ricevuto segnalazioni circa la scarsa attenzione e cura, in alcuni casi, del personale sanitario degli ambulatori e degli ospedali, specie nei confronti di soggettività marginalizzate o fragili. Crede che l’attenzione al lato psicologico nelle prestazioni sanitarie sia un aspetto da migliorare e, se sì, in che modo? Le realtà associative possono costituire un intermediario utile alla sanità pubblica?

Partendo dall’ultima domanda: sicuramente sì, l’ASL Toscana Centro lavora già con delle realtà associative, per esempio la CAT cooperativa sociale, Medu Medici per i diritti umani, l’Associazione Arcobaleno con un gruppo legato al centro di salute globale. Le associazioni spesso sono di supporto soprattutto per i soggetti fragili. L’ASL Toscana Centro ha un’organizzazione consultoriale che prevede una struttura di coordinamento centrale, ma quello che conta sono le equipe multidisciplinari composte da psicologi, ostetriche, ginecologi e assistenti sociali. La figura dello psicologo nei consultori non è messa a caso, perché si sa bene che nella preparazione tecnico-professionale degli operatori sanitari l’aspetto psicologico non è sempre considerato nella formazione specifica. È buffo ma a nessun medico, prima della laurea, chiedono: come ti poni con un paziente? È chiaro che queste cose dovrebbero essere inserite un po’ di più nei percorsi accademici. Non vale soltanto per i consultori, ma anche per i codici rosa o per altri casi di violenza. In merito a casi di maggiore vulnerabilità, come per esempio le donne extracomunitarie, vi sono i consultori appositi dove noi garantiamo anche l’attenzione alla lingua, alla cultura e alla religione. I consultori per stranieri sono meno diffusi rispetto ai consultori del territorio, però sono quelli in cui siamo più sicuri di una presa in cura adeguata e sono quelli in contatto con le associazioni, che poi possono favorire la prosecuzione del percorso di quella donna sul territorio. Stiamo anche inserendo lettini automatizzati per persone disabili, per evitare loro il disagio legato ai loro problemi.

Oggi sappiamo che la media nazionale di ginecologi obiettori di coscienza è di circa 65%. Da un lato, questo rende problematica o impraticabile l’interruzione di gravidanza; dall’altro anche il personale medico deve essere sempre più motivato per continuare a essere non obiettore, sia per via del carico di lavoro e della ripetitività delle operazioni di IVG sia per il rischio di non fare carriera negli ospedali. Che percentuale di obiettori di coscienza c’è nei consultori sul territorio di Firenze? Qual è il suo parere a riguardo? 

Secondo i dati del 2023, a Firenze tra i medici consultoriali ci sono il 22% di obiettori, mentre tra i medici ospedalieri il 25% di obiettori e tra il personale ostetrico ospedaliero il 24%. Diciamo che nella realtà della Toscana Centro questa percentuale evita il problema di cui parla: io stessa, in passato, ho visto personale non obiettore diventare obiettore per motivi di burn out. Al Palagi, cioè il polo dove è centralizzata l’IVG medica fiorentina, solo un medico su otto è obiettore. Ci sono aree della Toscana, come quella a sud-est, dove è più complesso gestire un’IVG, ma comunque l’organizzazione ospedaliera funziona perché possiamo permetterci di distribuire obiettori e non obiettori, per garantire che questo tipo di operazioni siano efficaci lungo tutto il percorso e non gravino solo su pochi medici. Penso che l’aborto sia un diritto dello Stato e in quanto tale deve essere garantito, come deve essere garantita la scelta delle persone. Sicuramente non bisogna rendere l’IVG un’alternativa al contraccettivo, perché significa ridurre il diritto di scelta alla donna.  Lavoriamo per rendere le ragazze consapevoli nelle loro scelte. La donna può decidere di non avere figli in una fase o in tutta la sua vita, e la sua scelta va rispettata.

 

Immagine di copertina: Frida Kahlo, Henry Ford Hospital (1932), Museo Dolores Olmedo