A potersi permettere il privilegio di smettere di lamentarsi e invece organizzarsi sono le persone che usufruiscono già dei diritti di base e soprattutto di una rete sociale. Come garantire questa possibilità anche alle fasce più fragili dei lavoratori, ad esempio i fattorini del food-delivery? A questa domanda hanno risposto CGIL e altre realtà quali L’Altrodiritto, CAT Cooperativa Sociale, Oxfam e Nosotras: serve uno spazio, un centro di comunità per raccogliere i bisogni materiali e sociali dei fattorini. Così è nato il progetto Casa Rider, che sarà attiva in centro, in Via Palmieri 11R, in un locale ottenuto gratuitamente dal Comune di Firenze. Offrirà agli utenti la possibilità di riposarsi al riparo dalle intemperie durante le ore in cui le consegne scarseggiano, scaldarsi un pasto, usare il bagno e ricaricare le batterie di telefoni e biciclette elettriche. Inoltre, sarà allestita una ciclofficina per piccole riparazioni. Di tutto questo abbiamo parlato con alcune delle attiviste protagoniste di questa iniziativa, Ilaria Lani (CGIL), Leslie Mechi (CAT) e Isabella Mancini (Nosotras).

Come è nato il progetto casa rider?

Lani: «CGIL si occupa da anni della condizione dei lavoratori di food delivery, settore in cui sono estremizzate le condizioni di insicurezza. Nel tempo abbiamo visto che per poterli tutelare meglio era necessario farci carico della loro condizione complessiva, sociale, spesso legata ai percorsi migratori. Molti rider lavorano 12-13 ore, non abitano in città, alcuni vengono dai centri di accoglienza. Vogliamo dare loro un sostegno per prendere coscienza e organizzarsi. Abbiamo sentito l’esigenza di associarci in partenariato con altri soggetti che si occupano da tempo della tutela delle persone migranti».

Come sarà gestito lo spazio?

Lani: «Sarà sempre sorvegliato da un dipendente che si prenderà cura della sua gestione e animazione. Stiamo organizzando sportelli, alcuni in carico a CGIL e altri agli altri partner (per il permesso di soggiorno, l’orientamento al lavoro, e anche formazione sul codice della strada). Aggiungeremo servizi di integrazione linguistica e culturale. Naturalmente non è un’idea calata dall’alto: ne abbiamo parlato con i diretti interessati tramite assemblee e il loro feedback è servito per progettare questo spazio».

Mancini: «Sarà uno spazio di relazione. Chi fa il rider non ha molte occasioni di relazione con gli appartenenti ad altre comunità né con i nativi: le condizioni del lavoro influenzano gravemente le possibilità sociali. Il progetto contrasta anche l’elemento di isolamento che agisce nella costruzione di città a compartimenti stagni. Sarà anche uno spazio per il resto della cittadinanza, in ottica interculturale: ai nativi offrirà spaccati di conoscenza di un mondo molto visibile e invisibile allo stesso tempo».

Quale sarà il ruolo attivo di CAT e Nosotras all’interno del progetto?

Mancini: «Il nostro ruolo sarà complementare, di sensibilizzazione e divulgazione di contenuti, non necessariamente per rider donne, ma lavorando su un bisogno che esiste. Ci occuperemo di cittadinanza e di diritti dei migranti soprattutto».

Mechi: «L’idea è quella di rimuovere le barriere che impediscono agli stranieri di rivolgersi al servizio del territorio. Ci interessa entrare in relazione per informare su come usufruire dei propri diritti, anche in autonomia. Possiamo aiutare per la compilazione di una pratica ma anche nel supporto per farlo da soli. L’obiettivo è l’empowerment, attivare un processo emancipatorio dei lavoratori. Noi lavoriamo sulla regolarità del soggiorno (che è un elemento di ricattabilità lavorativa) ma anche sul piano del diritto, della salute. Altri bisogni nasceranno dagli utenti e noi saremo lì a sviluppare le strategie».

Per poter avviare tutto questo sono necessari alcuni lavori di rinnovamento dei locali. Fino alla fine di dicembre è possibile contribuire al crowdfunding disponibile a questo sito: https://www.produzionidalbasso.com/project/apriamo-casa-rider-a-firenze/

 

 

Crediti fotografici: Foto CGIL

Profilo IG: @casarider_firenze