di Roberto Pecorale

 

Buonanotte Berlinguer è il nuovo album di CIGNO: terzo capitolo a chiusura di una trilogia iniziata con Morte e pianto rituale (2022) e proseguita con Nada! Nada! Nada! (2023).

Come nei precedenti lavori, il cantante e chitarrista romano non si pone alcun limite e spazia tra generi e input musicali ben diversi tra loro, maneggiando sapientemente post-punk, industrial, noise e folk contaminato. A completamento di tutta l’architettura musicale CIGNO dimostra attraverso i suoi testi di essere un maestro nel descrivere in modo spietato e lucido il nostro presente, o meglio i brandelli che ne restano.

CIGNO ha iniziato il tour di presentazione del disco e sabato 16 novembre sarà a Firenze all’ExFila. Per l’occasione l’abbiamo raggiunto per fare due chiacchiere. 

Bentrovato Diego, raccontaci di Buonanotte Berlinguer: mi incuriosisce molto sapere come avevi concepito questa trilogia, e cosa rappresenta ora per te questa chiusura.

La trilogia non è stata concepita, forse sono loro che hanno scritto me e segnato per sempre. Sono stati tre anni intensi, di rapimenti e abnegazioni, in cui ho scritto perché non potevo sottrarmi. Buonanotte Berlinguer è arrivato già a fine 2022, in cui ho capito che effettivamente andavo per concludere un atto creativo a tre, che aveva come suo compimento questo ultimo disco.

Concluso nella notte del pensiero, tra rigurgiti nazisti e lobotomie social-i.

È stato un viaggio insofferente di sconfitte, di accecamenti, di visioni.

Quello che volevo impressionare era il senso di sfinimento della società che si respira in questi tempi, l’iperindustrializzazione dei pensieri, il turbocapitalismo in accelerazione che ci ha fatto impazzire. Tempi moderni, tempi nuovi da rigettare e qualche soluzione per disinnescarsi.

La buonanotte a Berlinguer è stato un atto di amore verso i valori socialisti che sono ormai evaporati in una nuvola nera, ma anche una elaborazione del lutto in un mondo che sembra essere scomparso, un ultimo tentativo di ritualizzare il  presente monco che viviamo.

Non ho potuto fare a meno di collegare il tuo disco al film di Andrea Segre uscito recentemente, Berlinguer – La grande ambizione, incentrato sulla vita del politico e segretario del PCI. Forse sbagliando, associo la sua morte all’inizio della perdita di un senso di collettività, di qualcosa che si è rotto per sempre. E da cui ogni lotta oggi risulta quasi polverizzata.

Si hai ragione. Simbolicamente il funerale di Berlinguer rappresenta la fine dell’utopia nella sinistra italiana. Un movimento nato dalle lotte operaie, diventato adulto nella resistenza al fascismo e rimasto parzialmente inespresso nella prima repubblica.

La sinistra di Berlinguer era utopica: inclusiva e liberale, cercava di far convivere in essa i paradossi della società italiana. Un partito comunista storicamente filosovietico formato da un elettorato cresciuto nella dottrina cattolica in una nazione ormai divenuta propriamente territorio NATO.

Quello che ha provato a fare Enrico Berlinguer è stato il compromesso, che forse anche lo ha anche compromesso alla storia. Ad ogni modo il senso di collettività poi sarebbe tragicamente venuto meno, l’interesse alla cosa pubblica e la levatura morale e culturale dei leader politici sarebbe naufragata.

Buonanotte Berlinguer è un saluto, un ultimo saluto a quel mondo di valori socialisti di cui ci sentiamo orfani. Ma anche il  funerale che bisogna lasciarsi alle spalle.

Perché se ci dovrà essere finalmente un movimento controculturale, compatto e propulsivo dei nostri tempi, la nostalgia non ci aiuterà. La lotta al capitalismo, la difesa di ogni minoranza, ha bisogno di nuovi attori, di nuove prospettive.

Prendiamo coraggio, uccidiamo i nostri nonni e cerchiamo di formare un’alternativa contro questa destra oscurantista.

Tre dischi in tre anni. Dal punto di vista musicale cosa è cambiato in questo tempo?

Dal punto di vista musicale penso di essere sempre in quel dirupo di significanti, riassemblaggi e decostruzioni che mi sono ritrovato a fare. Mi piace il buio: ci vuole tanto senso mistico e tanto senso politico. Non credo che si possa creare qualcosa, penso che si possa essere ospiti di energie più grandi. Quindi il lavoro che ho fatto su me stesso è stato di sottrazione e di condanna plenaria.

Mi diverto tanto quando suono, quando scrivo musica insieme agli altri, quando ascolto, quando sono trafitto da un suono. Ogni qualvolta faccio un concerto torno in vita come un dipendente della propria patologia.

In quale momento del processo senti che è arrivato il momento di registrare, hai una sensazione particolare che te lo fa capire?

Bisogna registrare sempre! Prendere appunti, ripensare, rivalutare e mettersi in crisi. Riscrivere, piangere, agitarsi, riregistrare e pentirsi. Decostruirsi, mangiarsi le unghie, scoppiare di solitudine, riscrivere, modificare  e vergognarsi. Adattare, guardare, cesellare, contemplare e appuntarsi tutto. Riposarsi, rivedere, registrare di nuovo, buttare tutto e uscirne quindi definitivamente pazzo.

Ci sono artisti o band con cui ti piacerebbe collaborare in futuro?

Mi piacerebbe misurarmi con la musica applicata alle immagini, quindi scrivere musica per film.

Sarei felice di incontrare artisti con cui condividere la poesia di Paradžanov, Maya Deren o Fassbinder. Sono ossessionato dal cinema e nel campo delle sperimentazioni è qualcosa su cui troverei arricchimento.

Cosa ci aspetta il 16 novembre a Firenze?

Il live che abbiamo preparato per questo tour è puro situazionismo, non useremo solo strumenti convenzionali ma anche sirene postbelliche, manifesti e attrezzi da cantiere. Il teatro è una componente importante per trasferire nell’esecuzione dal vivo lo straniamento che il disco suscita nel solo ascolto. Quindi aspettatevi un rituale buio, elettrico e politico, in cui sette musicisti cercheranno di redimere le coscienze corrotte da questa assurda postmodernità.

 

 

Scopri l’evento di sabato 16 novembre 2024 all’ExFila

 

 

In copertina: foto di Matteo Consolazione