Freddie Murphy, metà dell’ex duo Father Murphy con Chiara Lee, torna a Firenze giovedì 5 dicembre negli stupendi spazi del GADA per presentare il nuovo progetto con Lorenzo Abattoir, evento in collaborazione con Affektenlehre che si fonde alla presentazione del nuovo numero di Lungarno nell’ormai classica formula talk+live. Per l’occasione, Federico (Freddie) ha risposto a qualche nostra domandina:

Come hai iniziato a collaborare con Lorenzo Abattoir?

«A partire da una residenza in quel segreto ben custodito che è il C3 a Milano, attorno al loro meraviglioso Acousmonium. Avevamo avuto già modo di collaborare in studio, e una ricerca simile o almeno parallela sul suono vocale come risultato di un respiro volontario ci accomuna da tempo».

Come descriveresti la musica che fate insieme?

«Due mantici che si studiano, si rincorrono, e a volte si accordano. In qualche modo le due performance singole da cui siamo partiti per provare questa collaborazione hanno di simile i movimenti, anche se inversi. Io mi svuoto, e quindi letteralmente mi accascio, sfinito; Lorenzo si riempie, e sembra pervaso da una forza e un istinto animale che ad un certo punto prevale».

Dopo tanti anni di attività come artista e addetto ai lavori, come ti sembra sia cambiata la scena alternative italiana?

«Almeno per quanto riguarda artist3 e figure per me di riferimento, direi che la scena è cresciuta in una comunità più organica e più fluida di un tempo. Ci sono meno definizioni, o quantomeno definizioni diverse, e il risultato a mio avviso è più ibrido, condiviso, mutevole, “diverse” (nella sua accezione in inglese)… e non mi riferisco solo agli artist3 ma anche ai collettivi che organizzano eventi, label, community radio».

Per lavoro ti capita spesso di varcare i confini italiani. È davvero tutto più bello fuori dal nostro Paese?

«In generale no. Pregi e difetti ci sono dappertutto. Però ci sono almeno due considerazioni che vorrei contaminassero un po’ di più la tipica mentalità italiana, e che spesso al di fuori del nostro paese trovano più riscontro:

– i luoghi dove fare musica non devono essere sempre spazi riadattati, ripensati, convertiti per ospitare questo o quell’evento. A parte la fascinazione che condivido per chiese, capannoni ecc., sarebbe bello veder costruire un po’ ovunque nel nostro paese nuove venue pensate a partire dalla qualità acustica degli spazi, e da una struttura che possa ospitare e accogliere al meglio le produzioni più diverse. Una visione non data solo dalla necessità, ma dalla professionalità, da un’idea, un piano.

– anche l’arte/musica è sforzo, fatica, lavoro e chiedere un adeguato compenso non è sbagliato né degradante; tanto quanto chiedere un commisurato biglietto alla porta per questo o quell’evento. E per essere più inclusiv3 possibile ci sono ormai svariate formule per far sì che chi si trovi in situazioni di disagio finanziario possa usufruire di sconti e supporto, soprattutto se controbilanciato da un biglietto maggiorato per chi possa permetterselo».

Che significato ha per te la parola “sperimentale”?

«Immagino con sperimentale qualcosa che “straripa”, di cui puoi perdere il controllo, che difficilmente trattieni».

L’evento Is That Folk? con Father Murphy a San Salvi nel 2018 rimane una delle cose più belle che abbiamo prodotto al momento. Cosa ricordi di quella serata?

«L’allontanarsi dal palco a fine performance con Chiara, verso il buio del parco. Era uno degli ultimi concerti che facevamo come Father Murphy, avevamo appena suonato un requiem per noi stessi, e in qualche modo ci siamo sentiti come gli animali che quando capiscono che è il momento di finire si allontanano per scomparire».

Cosa vedremo nei deliziosi spazi del GADA?

«Io e Lorenzo proveremo ad essere un po’ uno lo specchio dell’altro, abbandonandoci in una caduta interiore che, pur se molto personale, trova delle specularità nel tragitto altrui».

 

foto di copertina: Performatorio