Sarà in libreria da venerdì 5 maggio Dilaga ovunque (Laterza, 2023), la nuova opera dello scrittore toscano Vanni Santoni. A metà tra romanzo e saggio, il testo indaga il fenomeno del writing e della street art, ampliando il discorso sulle sottoculture giovanili iniziato con Muro di casse (Laterza, 2015), dedicato alla cultura rave, e proseguito con La stanza profonda (Laterza, 2017), sui giochi di ruolo.

Da fenomeno underground alle esposizioni nelle casa d’asta. Dall’ossessione per il decoro alle rivalutazione immobiliari dei quartieri che ospitano le opere di street artist sui muri. Il writing è un fenomeno complesso, contraddittorio e dilagante. Vanni Santoni prova a catturarlo e riordinarlo attraverso un “dialogo platonico” che dà forma a Dilaga ovunque.

In occasione della tournée di presentazione del libro, partita giovedì 4 maggio dalla libreria Il Libraccio di Firenze, abbiamo fatto due chiacchiere con Vanni, per conoscere meglio la genesi del libro.

Partiamo da una curiosità: perché hai scelto di raccontare il mondo del writing? A differenza di quello dei rave o dei giochi di ruolo, mi sembra un tema, oggi, abbastanza “mainstream” (passami il termine). Da dove nasce la necessità di questa indagine,  o cosa la muove?

È stato un passaggio naturale dopo, appunto, Muro di casse e La stanza profonda. Entrambi i romanzi raccontavano due sottoculture giovanili, i free party e i giochi di ruolo, nate dal basso, mistificate, criminalizzate e infine trionfanti – ma spesso cooptate proprio dal “mainstream”. Una descrizione che si confà in modo perfetto al writing e alla street art. Ho quindi cominciato a raccogliere idee attorno a questo tema, e a un certo punto mi sono reso conto di quanto fosse adatto per entrare in modo diagonale nel cuore di una questione che mi preme molto: quella dello spazio pubblico e della sua progressiva riduzione. A quel punto ho capito che se ne poteva fare un libro e Dilaga ovunque ha cominciato a prendere forma.

C’è anche un passato da writer nella tua vita?

Giro con un marker in tasca dal ’92, ho scritto su qualche muro, disegnato su qualche altro e attaccato diversi adesivi, ma mai a un livello tale da potermi definire minimamente “writer”. Anche per questo in Dilaga ovunque mi sono avvalso dell’aiuto e dei consigli di molti veri writer e street artist. È un mondo strutturato e complesso, con una storia molto specifica, in cui il rispetto per chi ne sa – e ha fatte – più di te è la base di ogni comprensione e riflessione.

Nel libro sostieni che i graffiti sono la più vasta, duratura, globale e multiforme corrente artistica esportata dall’America nel secondo Novecento. Mi trovi molto d’accordo. Da cosa pensi derivi questa forza di penetrazione?

Il graffito è devastante perché si rifà non solo a un gesto naturale per noi umani, scrivere e dipingere sui muri, ma anche alla personalizzazione di un gesto che ci viene invece culturalmente imposto, quello di firmare. Inoltre, da quando esistono le pubblicità – e sono ormai quasi duecento anni – la città è diventata teatro di una guerra semiotica senza quartiere, che è anche guerra di classe, dall’alto verso il basso, con lo stato e le multinazionali che impongono comunicazioni, lapidi e pubblicità, e la gente che – giustamente – ha trovato un modo per rispondere e affermare la propria individualità in uno spazio urbano sempre più alienante.

Contemporaneamente il writing è anche un “gioco”, una sfida personale e territoriale tra singoli e crew, che pone in secondo piano il “bello stile” in favore di una velocità di esecuzione che punta a coprire quanti più spazi possibile, con tag e throw up. Insomma, c’è una valenza sociale, ma c’è anche una valenza ludica e performativa, che crea quell’incomprensione agli occhi di chi non la coglie, che fa scattare la lotta al “decoro”.

Non c’è dubbio, ed è anche il suo bello. In qualche modo, il writing, nel suo intendere la città come uno spazio esplorabile, pieno di ostacoli e possibilità, in cui confrontarsi con sé stessi e con gli altri writer, oltre a sfuggire alla legge, è stato allo stesso tempo il più grande esperimento di psicogeografia mai fatto, e un’anticipazione della gamification. Tutto ciò è esaltante, come sa chiunque abbia mai cercato di scrivere il proprio nome d’arte in modo stiloso su un muro o su un treno. Credo però che la lotta al decoro abbia soprattutto a che fare – al di là del moralismo e dell’eterna guerra dei vecchi contro ai giovani che fanno cosa pare a loro – con la non-decifrabilità del writing per chi non ne conosce i codici. Tant’è, infatti, che la street art, più amichevole e riconoscibile, spesso con un “messaggio”, tende a venire apprezzata più di tag e graffiti. Pure, senza di essi non esisterebbe e non avrebbe troppo senso.

Alla fine del libro dici che la street art è tale solo se resta illegale, perché porta con sé la dimensione del conflitto. Come possiamo inquadrare allora le iniziative che offrono spazi “legali” con l’obiettivo di riqualificare spazi ed aree urbane. È la vittoria del capitale che converte l’ideale in merce?

Il termine per le opere commissionate esiste già ed è “arte pubblica”. Per quanto oggi coopti molti linguaggi di writing e street art (e la pratichino anche artisti che lavorano anche in modo illegale, perché come è giusto vogliono vivere della propria arte), è ontologicamente differente dal writing e da tutta la street art che ne mutua tattiche e modalità espressive.

Come vedi il rapporto col writing e la street art in una città come Firenze, che con l’arte contemporanea ha sempre avuto un rapporto difficile, giustificato anche dal fatto che deve continuamente fare i conti col proprio passato.

Dico solo che siamo la città in cui viene fornita una sede in comodato d’uso gratuito a un’organizzazione dedita alla distruzione dei graffiti. Vent’anni fa la sede in comodato d’uso gratuito veniva data all’Elettro+, che divenne uno dei più grandi incubatori culturali degli ultimi decenni. Anche per la street art. Piccole differenze…

Il writing è stato sempre associato al mondo hip hop e le sue 4 arti. Eppure è stata forse un’appropriazione postuma, come sostiene anche il writer romano Koma, dicendo che negli anni Ottanta e Novanta il writing era legato più alla scena hardcore e punk. Nel tuo libro mi sembra che dedichi poco spazio a questa “relazione”. La ritieni una cosa secondaria rispetto alla dimensione del movimento, cioè poco influente in entrambe le direzioni?

Nel libro dico il poco che c’è da dire in merito, attraverso le parole dei protagonisti. L’associazione tra graffiti e cultura hip hop è arrivata  rapidamente, ma comunque dopo, per mano di alcune specifiche figure, anzitutto Fab 5 Freddy, e anche se poi è diventata fertilissima – in fondo c’era un forte sentire comune – molti dei primi pionieri non ascoltavano minimamente quella musica: parole di Tracy 168 e Phase 2 (che pure faceva hip hop), non mie. Lo stesso vale per l’Italia: da noi un legame diretto, subito visibile, c’è stato a Milano. Ma in provincia, dove pure sono prosperate scene ragguardevoli, inizialmente non c’era. I primi graffitati che ho conosciuto io venivano per lo più dal mondo dello skate e ascoltavano punk o thrash metal.

Entrando nel merito della struttura del libro, mi è sembrato che qui, rispetto a Muro di casse e La stanza profonda, la dimensione saggistica sia predominante, quasi totalizzante, mentre la dimensione del romanzo resta una cornice sullo sfondo. Si tratta di una scelta voluta, vista anche la vastità delle tematiche affrontata, oppure la tua scrittura si sta orientando verso uno stile saggistico?

Se volessimo trovare un genere per “Dilaga ovunque”, è il dialogo platonico. Si tratta di una scelta deliberata, e proprio per la ragione che hai intuito: la materia era davvero vasta, multiforme, e radicata in filoni anche antichi della storia dell’arte. Così ho sì messo in campo molti personaggi, ma lasciato sottotraccia il grosso delle loro vicende personali per lasciare il campo ai graffiti. Ma chi ha voglia di romanzo non ha che da leggere “I fratelli Michelangelo”: tutta, e dico tutta la storia di Cristiana Michelangelo, protagonista di “Dilaga ovunque”, viene raccontata lì.

Questo libro chiude una potenziale trilogia dedicata alle sottoculture giovanili, o pensi di toccare altri temi in futuro?

Credo che il discorso cominciato con “Muro di casse”– rave – e continuato con “La stanza profonda” – GdR – si concluda qui, con “Dilaga ovunque”. Anche se un’ideuzza, a base d’inchiostro e macchinette ronzanti, ce l’avrei. Vediamo.

Passando ad altro, appena 3 mesi fa sei uscito con Altre stanze, un’opera che per certi versi riprende il discorso di Personaggi precari, ampliandolo a nuove forme di sperimentazione poetico letteraria. Perché far uscire due libri, sebben molto diversi, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro?

L’editoria di poesia è un mondo a parte rispetto a quella di narrativa, segue canali tutti suoi, e quindi per qualcuno che come me è principalmente un autore di prosa, non è solo sensato, ma addirittura opportuno, affiancare un’uscita poetica a un romanzo. Non si danno fastidio, tutt’altro.

Sempre in questi mesi è uscita l’antologia L’anno del fuoco segreto, curata da Rialti e Valentini, che porta sul mercato il “novo sconcertante italico”, suggestione letteraria che trova le sue radici qui a Firenze e di cui tu sei alfiere da anni, sostenendo che il weird è da sempre presente nella letteratura italiana, da Dante a Buzzati. Vuoi dirci qualcosa su questa antologia?

Penso che sia giusto lasciare la parola ai curatori, il mio del resto è un racconto molto breve; posso dire una cosa, però: alcune polemiche che si sono viste nel web letterario nascono da un fraintendimento, quello di sovrapporre il new weird italiano a quello anglosassone. Da noi, il termine indica per lo più qualcos’altro, che chiamerei, più che weird, “nuove metafisiche”.

 

Vanni Santoni, Dilaga ovunque, Laterza, 2023, € 17,00

L’autore sarà in tournée per la presentazione del libro a partire da giovedì 4 maggio, queste le date toscane:

  • Giovedì 4 maggio, Firenze, Libraccio
  • Venerdì 5 maggio, Montevarchi, Biblioteca
  • Sabato 6 maggio, San Giovanni, Biblioteca
  • Giovedì 11 maggio, Carrara, Associazione Qulture
  • Venerdì 12 maggio, Viareggio, librerialettera22
  • Sabato 13 maggio, Livorno, Scuola Carver
  • Domenica 14 maggio, Figline, libreria-fumetteria Il Nerdozio
  • Martedì 16 maggio, Pisa, Exploit Pisa
  • Martedì 23 maggio, Pontassieve, libreria Fortuna
  • Venerdì 26 maggio, Empoli, libreria San Paolo
  • Mercoledì 31 maggio, Pistoia, libreria Lospazio
  • Giovedì 1º giugno, Poggibonsi, associazione Scintilla
  • Domenica 4 giugno, Perugia, fiera del libro Altavoce
  • Lunedì 5 giugno, Firenze, Le Murate
  • Giovedì 8 giugno, Siena, libreria Rebecca
  • Venerdì 9 giugno, Firenze, galleria Street Levels
  • Sabato 10 giugno, Vicchio, circolo Arci

Calendario in aggiornamento sulla pagina social dell’autore.