Il 2022 è stato – tra le altre cose – anche l’anno in cui la divulgazione storica ha preso campo sui social. Grazie a testimonial d’eccezione “prestati” dal mondo televisivo e da quello accademico o a youtuber divenuti celebrità. O, ancora, perché è la Storia Globale che è entrata nelle storie individuali.

Il percorso di Stefania Berutti, archeologa, è per certi aspetti analogo a tutto ciò, ma per molti altri profondamente diverso. “Dopo essermi laureata in archeologia classica a Firenze mi sono specializzata ad Atene, vivendo, viaggiando e scavando. Quando sono tornata ho iniziato a collaborare con i musei e sono un’insegnante”.

E da qui ai social?

Il mio account instagram (Memorie dal Mediterraneo, ndr) non segue le regole e le raccomandazioni che si richiederebbero: non pubblico con regolarità, i post sono lunghi, non pubblicizzo abbastanza. Anche perché prima avevo un vero blog. I social però mi hanno permesso di stabilire relazioni con colleghi ed esperti che sono poi diventati veri amici”.

In effetti i post sono interessanti perché tentano di legare un fatto storico ricorrente a temi d’attualità. Comprensibile: la specializzazione di Stefania Berutti è il Mito. “Il mito è un grande racconto, strettamente legato alla Religione”.

La sua professione è spiegare questo a studenti americani a Firenze, all’Istituto Lorenzo De Medici e alla Syracuse University. “Generalizzare è difficile, ma la difficoltà che più accomuna i miei studenti è quella di definire una linea temporale precisa. Per loro è difficile collocare un mito nello spazio e nel tempo. E per me è importante contestualizzare l’ambito storico e culturale nel quale nasce. Gli elementi di mitologia classica che conoscono sono spesso solo il cartone disney Hercules e le raccolte di Percy Jackson!”.

Ma non ci sono miti classici. “Il Mito più conosciuto e più creduto è quello della Natività. E anche la Frontiera o il Far West per gli americani, sono miti. Eppure per loro il termine myth significa nell’accezione comune sciocchezza, falsità, ed è parte del mio lavoro riportarlo al suo significato originario“.

Crediti foto: Stefania Berutti