Prendevamo il 6 in via Landucci e scendevamo da qualche parte in centro, ma per quanto mi sforzi, non so dire dove. Poi a piedi fino in via Cavour: la prima tappa, inutile, era da Cavurotto, negozio ormai scomparso di argenterie. Mamma non comprava mai niente. Poi finalmente, lì a fianco, un negozio di trenini.
Quando non so davvero cosa fare, prendo quello bianco e verde, una E656 della Lima, e lo guardo girare sul plastico. Non ha fretta, non si annoia: sparisce dentro la galleria e riappare ogni volta. Mi torna in mente una filastrocca: “sono solo una nuvola nera, che un po’ di vento si porta via”. Allora chiudo gli occhi, proprio mentre la E656 passa per l’ennesima volta dalla stazione, e mi rivedo steso in acqua, la mano di Mamma sotto la nuca che mi fa galleggiare e lei che canta sorridente.
Poi giro la manopola del trasformatore e il treno accelera, ascolto lo sferragliare sugli scambi e aumento ancora un po’ finché le ruote si sollevano e tutto il treno spancia sulla destra e si arena sul verde artificiale del prato.
Tornavamo a casa con una busta piena di binari con i quali costruivo ellissi sempre più ampie sul pavimento del salotto. Non bastava un pomeriggio per esplorarne tutte le possibilità.
«Non aver paura, non può succedere nulla di male» dico al macchinista immaginario, mentre lo risistemo sui binari, seguito dai suoi quattro vagoni.
E vorrei dirlo anche a Mamma, ma è tutto fuori scala e gli autobus non passano più come una volta.
Francesco Chiacchio, A volte sparisco, Topipittori, 2022 – 12€