Abbiamo collezionato badilate di fallimenti, viaggi a vuoto, abbiamo contribuito in maniera sensibile alla crisi climatica coi nostri spostamenti in autovettura, in due, e tutto per amore di scoperta e conoscenza – ah che amore vano, che inconsistenza di base! –, un amore impossibile da esperire a pieno ma da godere a gocce, tipo lacrime di campioncino di profumo.

Ma se, come dicono, gli insuccessi sono occasioni per imparare – e ci mancherebbe: che si fa? Ci scapitozziamo? – ecco che cogliamo i frutti dei chilometri di strade bianche, delle riflessioni vegetali, dei magri simposi, e ci poniamo una domanda esistenziale: abbiamo gli strumenti per valutare le gradazioni di amenità? La consapevolezza del dubbio è sorta al Galluzzo.

Tra un semaforo lampeggiante e un tramonto in arrivo, tra una merenda saltata e un quattro salti in padella per cena, ecco el Juicio Final: le tovaglie e i lenzuoli asciutti, i ronzii dei cassoni dei condizionatori, le anime dannate, le puppine a coppa di champagne, i six pack notevoli, le corde terribili, lo scarso traffico della domenica, le finestre incolonnate, un culo.

E il nostro pensiero mentre proviamo a goderci un momento di fortuna: è ameno questo luogo? Ci siamo risposti di sì per un sacco di motivi, avremmo potuto dirci di no per tanti altri. La verità è che ci muoviamo lungo il concetto di amenità con un’asta in mano, soppesiamo le criticità e le possibilità della lingua, cerchiamo un equilibrio sottile tra le sensibilità nostre e quelle che possiamo solo immaginare. Alla fine, facciamo i conti con chi siamo.

Qui al Galluzzo abbiamo detto SÌ: un sì dai tratti bernhardiani, ma comunque un sì. La prossima volta, magari, diremo di no e ciò che sta dietro questa rubrica, dietro queste parole, dietro questo scatto, sarà una chiacchierata all’insegna dell’inquinamento, di un gioco di ombre, di incastri d’orario, di un Giudizio dall’esito opposto.

Crediti fotografici: Irene Tempestini

Galluzzo