In occasione dell’eventone di sabato 14 gennaio al GLUE Alternative Concept Space che vedrà protagonisti sul palco gli Hate Moss e i God of the Basement, abbiamo pensato potesse essere una idea “ganza” che le due band amiche e compagne di mille avventure si levassero reciprocamente qualche curiosità. Il risultato è questa stupenda e divertente intervista incrociata:
God of the Basement: Collaboriamo da qualche anno e, come già capitato in passato, questo sabato condivideremo il palco. È la prima volta però che ci capita di intervistarci a vicenda.Iniziamo con qualche domanda sul vostro ultimo disco “NaN”, uscito a maggio 2022.Ascoltandolo, a nostro parere si sentono delle influenze quasi cyberpunk, sia nella musica che nell’immaginario. Ci sono delle cose particolari che vi hanno ispirato? Film, libri, musica, pensieri?
Hate Moss: Effettivamente ci conosciamo da tanto tempo. Sappiamo già tutto di voi…o quasi, ma daremo il meglio per preparare i lettori al concerto di sabato (risate).
Questo ultimo disco, se vogliamo fare una sintesi, ha come tema principale l’alienazione dell’essere umano. NaN – che sta per “Not a Number” – è il risultato che ogni console restituisce quando si tenta di calcolare qualcosa con valori incalcolabili. Questo concetto, e il fatto che suoniamo utilizzando un computer, ci ha portato per forza ad avere uno stile riconducibile, appunto, al cyber-punk con influenze distopiche.
Il brutto è che al giorno d’oggi basta parlare di temi giornalieri per risultare “distopico”. Quindi, nonostante siamo appassionati di film, letteratura e musica, direi che è dal quotidiano che abbiamo tratto la maggior parte dell’ispirazione.
Mentre una cosa che ci incuriosisce è la scena musicale della città di Firenze. Vogliamo dire, essendo voi una band fiorentina a tutti gli effetti, come avete vissuto la scena degli ultimi anni, e come vedete lo sviluppo di questa?
God of the Basement: La scena fiorentina pre-2020 stava vivendo un momento molto vivace e promettente, con tante nuove proposte interessanti e valide. Purtroppo gli ultimi due anni hanno un po’ cambiato le cose, ma questo non vuol dire che non siamo già sulla buona strada per riprendere da dove avevamo lasciato. Infatti, solo con la collaborazione di tutti, musicisti, addetti ai lavori e appassionati, una scena può essere veramente viva, e noi ci crediamo fermamente. Inoltre a noi piace collaborare, come nel nostro ultimo singolo (“Loaded” con gli oodal), con band e realtà cittadine a cui ci sentiamo affini, il senso di collettività nella musica è fondamentale e aiuta a stimolare la creatività.
Voi, piuttosto, avete un’attività live molto intensa tra Europa e Sud America. Com’è la scena che avete trovato? Quali sono le prossime mete e cosa vi attrae di questi luoghi?
Hate Moss: Sì, abbiamo avuto la possibilità di suonare in molti locali in diversi continenti, e nonostante ciò dobbiamo dire che le scene che esistono sono tutte molto simili, perlomeno nel nostro circuito.
Con internet, le mode e i costumi si sono diffusi in tutto il mondo in modo velocissimo, creando, che ne so, la nuova scena punk inglese uguale a quella cilena, per fare un esempio. Per quanto riguarda la seconda domanda; riuscire a creare eventi interculturali che aiutino ad abbassare il livello di ignoranza galoppante degli ultimi tempi è il nostro focus principale e lo facciamo con la musica, o meglio con le persone che di questo campano. Più che i luoghi, quindi, sono queste persone che ci attraggono.
Parlando di stili e genere ci viene in mente che voi, nonostante facciate un tipo di musica, diciamo, fruibile al mercato, da voi definito “Heavy Pop”, non tendete a sfruttare quel tipo di mercato, anzi calcate un circuito a tutti gli effetti underground. Potete spiegare il motivo di questa scelta stilistica?
È la classica domanda da un milione di dollari alla quale devi rispondere per promuoverti e noi abbiamo trovato la nostra risposta solo dopo quattro-cinque anni di attività della band.
L’aver intrapreso un cammino nel circuito underground rispecchia l’attaccamento alle nostre radici certamente non pop, qualcosa del tutto naturale. Vediamo nell’underground l’essenza della musica: la condivisione, il sudore, la testardaggine, la liberazione, la candida espressione. Tutto ciò dà uno stimolo pazzesco nonostante siano molteplici le difficoltà da affrontare in questo percorso.
Il contrasto tra questo tipo di attitudine e la fruibilità della nostra proposta è del tutto ricercata e, se vogliamo, tende ad abbattere un pregiudizio nei confronti del pop, cercando di spingere l’ascoltatore a non fermarsi davanti all’apparenza ma a frugare tra le pieghe della musica. E visto che ci stiamo prendendo gusto, vi facciamo noi l’ultima domanda, altrimenti non la finiamo più questa intervista (risate).
Scherzi a parte, diciamo che ci stiamo lavorando.
Ci sono molti sacrifici da fare, purtroppo abbiamo solo 24 ore al giorno e, considerando che abbiamo anche altri lavori, il tempo e le forze alle volte vengono a mancare, però non demordiamo, siamo testardi.
Abbiamo fatto errori durante il nostro percorso, e tuttora in ogni concerto, in ogni evento che organizziamo facciamo qualche errore; è anche grazie a questi che impariamo. Se nel nostro piccolo possiamo permetterci di dare qualche consiglio a chi inizia, beh, non fate le stesse cazzate che abbiamo fatto noi, fate il possibile per rimanere con i piedi per terra, siate cordiali e soprattutto fatelo se vi fa star bene!