È di qualche giorno fa la copertina di The Daily Mirror, noto quotidiano britannico, dove a caratteri cubitali compariva il titolo: “The poor can’t cook” (trad. “i poveri non possono cucinare”).

Il titolo fa riferimento all’impossibilità di cucinare, non di sfamarsi: a dirci che, se eravamo abituati ad identificare la fame con la povertà, ora entriamo nell’epoca in cui la differenza tra il povero ed il ricco è sancita dal pagare le bollette che gli permettono di dare fuoco ai fornelli, e non più dal “portare il pane a casa”. Anche se in effetti, per quanto i fiorentini ci abbiano fondato un’intera tradizione culinaria, manco quello serviva cucinarlo per mangiarlo. Avete iniziato così a rispondere alle chiamate dei call center del cosiddetto “mercato libero”, ché per la prima volta vi siete detti: “Ma famme senti’ che vòle questa”, illusi di cambiare fornitore per risparmiare il costo di un sushi al 40% di sconto all’Esselunga. Che poi rispondete e vi fate il fegato amaro solo al sentire “gentile cliente” da una voce registrata, vi incazzate maggiormente perchè adesso si arricchiscono anche sul costo di quella gente a cui avevate appena deciso di non attaccare più il telefono in faccia.

Bene, voi che con il bonus bollette speravate di pagarci una notte a Follonica, già che avete perso il bonus vacanze perché nessuno lo accettava mentre rincaravano come se vi avessero dato il bancomat di Draghi, staccate il gas ed ispiratevi ad alcune delle più alte menti di Fiorenza, che quando il pomodoro manco c’era, già decantavano questo piatto poverissimo in poesie (Bronzino) e racconti (Boccaccio, Decameron VIII, 7), in tempi in cui l’avere energia non costava così tanta fatica.