di Daniele Pasquini
L’estate più calda del secolo. Siccità record. Termometro alle stelle. Sono titoli a cui siamo abituati, eventi così frequenti da non fare più rumore. Sembra la metafora della rana bollita di Noam Chomsky, in cui l’animale rimane a sguazzo nella pentola anche se la temperatura sale, e ci resta finché l’acqua non bolle. Solo allora muore, senza accorgersene. Ma una soluzione c’è, e ne parliamo con Roberto Ferrise e Marco Bindi, docenti del Dipartimento di Agraria dell’Università di Firenze. Bindi, in particolare, è l’unico autore italiano di un articolo pubblicato da “Science” sul cambiamento climatico rivolto ai leader mondiali, ed è nella lista dei cento top italian scientists.
Abbiamo un problema. Ripetere ogni volta che il mondo si sta riscaldando non fa più effetto.
MB: “Abbiamo due problemi. Guardare il clima con gli occhi della cronaca non serve. Gli articoli degli anni ‘60 a volte avevano gli stessi titoli di oggi, perché le notizie si riferiscono ad eventi, non a cambiamenti di lungo periodo. Questo genera un problema di percezione, che fa gridare all’allarme ma non fa comprendere il contesto. L’altro problema è nel capire che il riscaldamento non si inverte rapidamente. I gas serra hanno un tempo di vita lungo. Anche se oggi smettiamo di emettere CO2, certe sostanze rimarranno comunque nell’atmosfera per anni”.
Eppure, durante il lockdown, quando tutti si sono fermati, qualcosa era migliorato…
RF: “Sono interessanti i grafici prodotti da Carbon Global Project. Durante il lockdown l’emissione globale di CO2 si è quasi azzerata. Però nonostante il crollo delle emissioni, la concentrazione di CO2 non è mutata. Dobbiamo capire che i risultati non arrivano subito, e allo stesso tempo che rimandare peggiora le cose. E in un contesto aggravato, serviranno soluzioni più radicali e costose”.
Torniamo a Firenze. Abbiamo passato lunghe settimane senza pioggia. È stata un’eccezione o è un trend?
MB: “Non ha più senso parlare di fenomeni eccezionali, ormai è una consuetudine. La siccità non è più un fenomeno estremo, è la regola”.
Dobbiamo prepararci ai monsoni?
RF: “I dati ci dicono che ogni anno è sempre più caldo. In Toscana nel 2010 rispetto al trentennio 1961-90 avevamo +0,5° di media, con picchi di +1° in estate”.
MB: “Le quattro stagioni ci sono ancora, ma sono diverse. A fine settembre stiamo ancora bene in spiaggia, poi in autunno assistiamo a cambi bruschi: parliamo di tropicalizzazione, perché certi acquazzoni sono eventi tipici ai tropici, ma ormai sono familiari anche per noi”.
Cambia il clima, ma la terra si adatta? La nostra agricoltura si basa su ulivi e viti.
MB: “Può reggere solo se prendiamo atto del cambiamento. Se a ottobre ci sono 25° è chiaro che bisogna anticipare i tempi, le olive si raccolgono in maglietta. Anche la vite si adatta, per metterla in sofferenza c’è bisogno di condizioni climatiche ben più estreme. Però sempre di più nei nuovi vigneti troviamo l’irrigazione di soccorso, segno che chi coltiva corre ai ripari. Il clima inoltre influisce sui parassiti – basti pensare all’incidenza che ormai ha la mosca dell’olivo -, o sulle gelate tardive, sempre più frequenti”.
Le amministrazioni parlano spesso di piantare alberi in città. Serve a qualcosa?
RF: “È una strategia semplice. Un albero fa ombra e quindi genera rinfresco. Ma un conto sono gli annunci, un altro la realtà che ci circonda. Mi sono ritrovato a parlare di questi temi agli studenti nel Plesso di Novoli, poi mi sono guardato intorno…”
MB: “Abbiamo fatto un esperimento con delle centraline sulla tramvia. Da Villa Costanza alle Cascine vedevamo che la temperatura calava in corrispondenza delle zone alberate. Ma sono onesto: la questione finisce qui. Pensare che gli alberi assorbano tutta la CO2 delle città è utopia. Inoltre, per piantare alberi serve tanta acqua, altrimenti muoiono. Serve manutenzione, spazio per le radici. Gli alberi sono utilissimi, ma piantarne milioni in città è una scelta insostenibile. Io non credo nei grattacieli verdi. Una casa così non la comprerei, vedo più problemi che benefici”.
E allora cosa può fare chi amministra la città?
MB: “Tre cose. Partire dalla mobilità urbana: buone piste ciclabili, migliorare il servizio di trasporto urbano. Così si abbattono le emissioni. Secondo, occuparsi del recupero delle aree marginali. Abbiamo avuto una perdita enorme di superficie curata e coltivata. Da Firenze alla costa siamo pieni di campi abbandonati. Da noi i terreni sono tanti e vasti, recuperarli significa contrastare il dissesto idrogeologico e allo stesso tempo produrre cibo. Terzo, pensare ai piccoli invasi. È l’unico modo per immagazzinare l’acqua quando cade. La Toscana ne ha molti, ma essendo in aree abbandonate ormai sono grandi buche piene di terra. Dal loro recupero dipende l’approvvigionamento idrico del nostro futuro”.
Non sembra impossibile.
MB: “Sono cose semplici, ma vanno coordinate. Basta parlarsi e iniziare”.