Ci sono volte in cui uno si prepara a un appuntamento importante in quello che pensa essere il migliore dei modi. Nel caso di un’intervista a Bobo Rondelli, si riascolta la discografia, si prepara le domande, ci si accerta di approfondire i concetti. Niente di più fuorviante. Bobo è la variabile impazzita che ti fa cambiare continuamente rotta: il segreto è seguire il flusso, invece di opporre resistenza.
Andiamo con ordine. L’11 giugno è uscito “Cuore Libero”, ultimo lavoro di Bobo, che segue di quattro anni il precedente, “Anime Storte”.
Cerco di capire cosa sia successo nel frattempo: come si passa da “Anime Storte” a “Cuore Libero”?
“Non puoi fare questa domanda a me che improvviso tutti i giorni. In quattro anni sai quante improvvisate, anche non realizzate… Non so neanche cosa succede domani. Io faccio dischi a seconda di dove trovo le energie. Mi auguro ci sia una certa coerenza, o magari no, perché il tempo cambia molte cose nella vita, come diceva uno che non c’è più”.
Bene, ripartiamo. Il 1 luglio suonerai all’Anfiteatro di Fiesole. Che rapporto hai con Firenze?
“Non esiste la città, esiste il piccolo luogo dove vado. Nel caso di Fiesole sono ben contento perché l’anfiteatro fa per me, son costretto ad alzare la testa come un gladiatore. Non sopporto i teatri. Farei solo anfiteatri fosse per me, perché a teatro fai il pomposo, stai in alto su un palcone, la gente è in basso, le energie fanno più fatica ad arrivare. In anfiteatro salgono su e hai modo di tirar fuori la tua armatura dell’anima. È l’unica volta in cui alzo la testa, la testa alta mi ricorda troppo il militare. In genere sto a testa bassa. Mi vergogno di esistere e nemmeno so perché, un albero ha molta più dignità dell’umano. Abbi pazienza, oggi sono un po’ così, ero a pranzo dal fratello di Sabrina…”
“Sabrina” è il singolo che ha preceduto l’uscita dell’album. Un testo e un video carichi di nostalgia: che significato ha per te questo sentimento?
“È necessaria, c’era anche un bel film russo che si chiamava Nostalghia, di uno che aveva i capelli mezzi bianchi e mezzi neri… Un film peso, per la mia generazione era buono ma non so per quella di ora. C’è il cosiddetto pazzo che si dà fuoco dopo un grande discorso sul mondo”.
Comincio ad annaspare ma è lui a guidare il discorso che procede naturalmente dalla paura della morte all’antimilitarismo, da Céline a De Andrè, passando per il David Bowie di “Changes” (“Still don’t know what I was waitin’ for…”). Molti pensieri vanno alla sua Livorno, alla Terrazza Mascagni:
“In realtà si chiama Terrazza Costanzo Ciano, che ha sovvenzionato Mussolini. Livorno ha anche questa storia. Il Partito Comunista fu fondato qui e poi c’è stato il fascismo più incallito. Avessero fatto solo architettura, sarebbe stata una storia migliore”.
E Livorno oggi?
“Le ragazze sono molto belle, anche i ragazzi. C’è mistura di razze, armeni ebrei olandesi greci inglesi… Grazie a un fiorentino! Un Medici, e il suo bellissimo editto del 1591: le Leggi Livornine. Sarebbero da attuare oggi: si parlava di abolire la pena di morte, di libertà di culto… concetti cui l’America, con la sua idea di libertà, ancora non è arrivata. Livorno è Libertas. Mi piace per questo, anche nei suoi aspetti più truffaldini“.
Alla fine, è lui a rincuorarmi per l’andamento oscillante della nostra chiacchierata:
“L’intervista è brutta se fai il compitino… Meglio una bella discussione“.