Caro lettore del 2683, ti narro di una remota ricetta che era in voga a inizio millennio e che prende nome dalla mimosa, un fiore con le palle che celebrava quello che era il delicato genere femminile in occasione dell’8 marzo. Nell’epoca che qualcuno di voi ricorderà come quella dell’epidemia di Coronavirus, furono aboliti i fiori con alto contenuto di pollini, poiché si perse il controllo degli starnuti delle donne, le cui case venivano invase da cespugli di mimose – a casa perché licenziate in massa per la crisi – motivo per cui c’era poco da festeggiare. La mimosa fu vietata sull’onda di manifestazioni femministe che vollero la soppressione di tale festività

Chiedevano inoltre l’abolizione dello sconto sole donne agli All You Can Eat, il divieto di apertura della portiera e la registrazione di un nuovo jingle per tutti gli arrotini del regno, che fu affidato a Myss Keta. Gli antiabortisti e le fasce misogine non ben schierate supportarono la protesta, senza averci capito granché. Gli spogliarellisti si costituirono parte lesa.

La mimosa venne anche replicata in plastica, poi stilizzata a fiore composto dagli asterischi alla fine dei nomi e degli aggettivi plurali, ma l’Accademia della Crusca ebbe da ridire.

Il risultato fu che i fiori vennero ritirati definitivamente dal mercato e nacque questa torta clandestina creata nelle retrobotteghe per chi voleva che la festa resistesse, soprattutto affinché le pasticcerie potessero campare con agilità da S.Valentino a Pasqua, altre festività estinte di cui vi parleremo in futuro.

Per risolvere la questione, il giorno dell’8 marzo fu trasformato nella festa dell’uomo, minoranza ancora sotto tutela, la rosa blu ne divenne il simbolo e ancora oggi, marzo del 2683, affolla i salotti di uomini e di chi crede di essere tale.

Mimosa