di Tommaso Chimenti

Drammaturgo, autore, scrittore. Francesco Niccolini, aretino traslocato a Livorno con il cuore in Puglia, si definisce “scrivano”, ultimamente ha firmato testi per Luigi D’Elia, Vetrano Randisi, Alessio Boni, Simone Cristicchi, Leo Gullotta, Marco Paolini, vincitore del Premio Flaiano, come dell’ANCT, del Premio Enriquez, Teatri del Sacro, Eolo Awards, Premio Resistenza Fratelli Cervi.

Come hai vissuto la pandemia?

“Come una prigionia. Il primo lockdown con più paura, perché ho faticato a capire; il secondo con rabbia perché è stato chiaro che noi in teatro siamo stati i meno difesi e i più penalizzati. E quando dico “noi” indico artisti, scritturati, tecnici, autori e compositori”.

Cosa pensi che non si sia fatto per il teatro in questo periodo?

“Riaprire era più che possibile: abbiamo ampiamente dimostrato che in teatro non ci sono mai stati contagi e che, restando tutti distanziati, mascherati e in silenzio, gli spettatori in sala erano le persone più tutelate in assoluto, molto più di quando si mangia con conoscenti in un ristorante o si prende un aperitivo o si mangia a casa di parenti. E probabilmente molto di più che in una chiesa dove il distanziamento era variabile e molto meno garantito che nei teatri. E continuo a domandarmi perché le chiese sono aperte e i teatri chiusi”.

Come vedi la situazione e le sorti del teatro italiano nel 2021?

“Siamo i lavoratori dello spettacolo meno tutelati d’Europa. In tutto questo, gli autori e i compositori sono stati trattati anche peggio degli altri, dimenticati e lasciati fuori da qualunque aiuto e sostegno: evidentemente i teatri contano poco in Italia, e ancora meno gli artisti, e meno ancora gli autori. Il quadro è disarmante, come lo era anche prima: ora però è evidente la situazione punitiva che si è voluta applicare agli artisti. Mi sembra di essere rimasto al primo Seicento, quando gli attori venivano sepolti in terra sconsacrata se non abiuravano la professione prima di morire. Se poi penso che le due trovate più originali siano state sponsorizzare una Netflix della cultura e versare grosse cifre in denaro ad alcuni teatri per i mancanti incassi senza coinvolgere in questo tutte le categorie che hanno subito quei mancati incassi, mi sale la rabbia”.

Che cosa cambierà sulla scena nei teatri, secondo te, dopo il Covid-19?

Il teatro non muore mai. Risorge sempre. Sarà un dopoguerra strano, senza macerie ma molti cadaveri e molta rabbia e sentimenti diversissimi. Non ho nessuna speranza di miglioramento: bisognerebbe immaginare che dall’Italia possano essere cancellati privilegi, clientelismi e nepotismi, spintarelle e quant’altro. Se qualcuno pensa che il Covid possa aver spazzato via qualcosa di tutto questo, alzi la mano. Io no, non ci spero”.