LITTLE BARRIE AND MALCOLM CATTO “Quatermass Seven”

Madlib Invazion

Molti di voi conoscono i Little Barrie ma non lo sanno. Perché se avete visto Better Call Saul, vi sarà sicuramente rimasto in testa quel riff acido della mini sigla di apertura, mai con le stesse immagini, ma sempre con quel suono. Quel brano è dei Little Barrie, psych-rock trio britannico – rimasto tragicamente duo nel 2017 dopo la scomparsa del batterista Virgil Howe (sì, figlio di Steve degli YES) – attivo sin dai primi anni del nuovo millennio. Ci sono voluti tre anni per arrivare a “Quatermass Seven”, loro nuovo lavoro che vede i due collaborare con Malcolm Catto, super psych batterista e anima dei The Heliocentrics. Il risultato funziona alla grande, sin dalla perfetta durata del disco, 30 minuti precisi che invogliano a ripartire con un nuovo ascolto. Nato in un seminterrato di Dalston, area est di Londra, l’album è l’esatto punto di incontro dei 25 anni e oltre di esperienza dei tre musicisti. Sette brani che sono un’esplosione di blues britannico degli anni ’60 e, al tempo stesso, un carico groove di una qualsiasi festa di quartiere del Bronx a metà degli anni ’70, il rock acido di Haight Ashbury – ma ci vengono in mente anche i The Black Angels in alcuni passaggi – e la Summer of Love di Manchester. In extremis, ma uno dei dischi più eccitanti del precedente e  dannato 2020.

KRUDER & DORFMEISTER “1995”

G-Stone

Kruder & Dorfmeister sono Peter Kruder e Richard Dormeister, il duo austriaco noto per i loro remix trip hop/downtempo di canzoni pop, hip hop e drum’n’bass. Nel 1993 realizzarono il loro primo EP “G-Stoned”, contenente l’ipnotica ‘High Noon’, accompagnato da una copertina che assomigliava a “Bookends” di Simon & Garfunkel. Il successo arriva con “K&D Sessions”, doppio album uscito nel ’98 con cui il duo inventò letteralmente un genere musicale, da lì definito downtempo/trip hop. Una cosa bella, che poi, come sempre accade, si è evoluta in qualcosa di satanico: la colonna sonora da aperitivi o la musica di sottofondo in uno di questi negozi chiccosi dove un paio di scarpe costa tipo settecento euro. Leggenda (o comunicato stampa) narra che, nel ’95, K&D avessero terminato un album ma che poi rimase in un cassetto. All’inizio del 2020, lo spostamento casuale (CASUALE) di una scatola, ha riportato alla luce quei nastri.  K&D ci hanno rimesso mano e, sentendosi a loro agio, sono tornati in quella stanza e in quella nebbia come se fossimo nel 1995. Ci stanno prendendo in giro? Può darsi. Ma i brani del disco hanno lo stesso profumo di quel periodo. Dub, trip hop e nebulosa downtempo, come se fossimo ancora nel ’95, prima di un demoniaco apericena.

GRANDBROTHERS “All the Unknown”

City Slang

Una decina di anni fa circa, alcuni musicisti compositori, iniziarono a cercare nuove soluzioni in ambito pianistico per avvicinare il gusto classico a quello pop. Come se i suoni per (e da) colonna sonora potessero vivere fuori da una pellicola. Max Richter, Nils Frahm, Dustin O’Halloran (precedentemente nei Devics) e Hauschka – con il suo piano preparato e le sue palline da ping pong – sono solo alcuni dei nomi che, ognuno col suo gusto e la sua peculiarità, hanno intrapreso questo percorso. Fra i progetti che stanno trovando un interessante equilibrio tra piano (preparato) ed elettronica, ci sono anche i Grandbrothers, duo svizzero/tedesco adesso residente a Düsseldorf, composto dal pianista Erol Sharp e dal produttore Lukas Vog. Manifesto di questa miscela è “Dilation”, bellissimo debutto datato 2015. Nel frattempo sono cresciuti molto a livello artistico e, già con il precedente “Open”, sono approdati su City Slang. “All the Unknown” è il loro terzo album e vede i due spostare l’ago della bilancia leggermente verso la parte elettronica, posizionando qualche centimetro dietro il piano. Niente di male, tutto continua a funzionare e, oltre ai singoli – la title track e ‘What We See’ – il disco svela un nuovo percorso esplorativo e compositivo dove non mancano né coraggio, né curiosità.

FRASTUONI SU SPOTIFY

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