In diverse librerie c’è uno scaffale, di solito al confine tra narrativa e saggistica, qualche volta in area psicologia, contrassegnato dall’etichetta “letteratura queer” oppure “omosessualità”. Il mistero di cosa contenga si arricchisce ogni volta che lo si va a cercare: romanzi con storie d’amore omosessuale, libri di autori omosessuali, saggi di sociologia della sessualità, libri fotografici che documentano la scena drag negli Stati Uniti. Questo scaffale in qualche misura mi confonde sempre, per ragioni che non mi sono del tutto chiare.
Ne ho parlato con Luca Starita, autore di un saggio in uscita per effequ a fine mese, per la collana “Saggi pop”, dal titolo “Canone ambiguo. Della letteratura queer italiana”.
«Partirei dal significato contemporaneo della parola “queer”, e cioè: tutto ciò che è possibile contrapporre a una norma. Si può pensare che esista una sezione queer della letteratura italiana che contiene tutto ciò che può essere raccolto sotto questa definizione e che spesso è stato scientemente ignorato dalla critica: da un Palazzeschi che incontrava i suoi amanti alla Piramide delle Cascine, al padre del protagonista de L’isola di Arturo, che canta per il suo amante da sotto la finestra della sua prigione».
Il saggio di Luca è il risultato di un percorso di studi e di una tesi di laurea, «un’antologia critica di presentazione di testi che hanno molto da dire alle nostre generazioni, anche a chi ha sedici anni: non sappiamo come definirci, da nessun punto di vista».
Gli autori presi in considerazione (Moravia, Bassani, Gadda tra gli altri) prendono parola in prima persona, dialogano tra loro con inserti di brani dei loro stessi libri, a cui viene data un’interpretazione quanto più possibile scevra da sovrastrutture.
Una letteratura alternativa a quella canonica, appunto, che non solo tocca autori che rimangono fuori dai manuali, ma che riabilita passi in cui gli autori stessi esprimono la tensione di star scrivendo qualcosa “che non si dovrebbe scrivere”.