di Matteo Chiapponi e Giacomo Alberto Vieri

Qualche settimana fa, nel silenzio illuminato dei più Grandi, se n’è andato Carlo Bordini, poeta e uomo magnifico: “così questo rammendare piccole cose porta le cose migliori”, è un suo verso tratto da “Sasso”, che forse vi dirà poco e nulla.

E forse, a molti di voi, diranno poco e nulla anche le case del popolo, i circolini, sì proprio loro, quei fortini di Storia (con la S maiuscola, non badate a Instagram) e camparini alle 5 il pomeriggio, quei bunker sicuri fra Partito, bestemmie, Cuore Viola, dibattiti sociali, che non sono rimasti immuni ai decreti governativi sulle chiusure di locali ed esercizi e, nella sofferenza goffa, ma sempre orgogliosa di chi regge una bandiera, si sono fermati una seconda volta.

Le porte chiuse, ora: come a Vicchio nelle notti d’inverno, quando i ragazzi si fermavano davanti al circolo, prima di tornare a casa dopo una serata in giro a diventare grandi, per fumare l’ultima sigaretta. Quel luogo era, anche sprangato, la matrice d’inizio e il punto di fine, il “bona raga, vado in branda”.

Al circolo di Settignano, Naima e Gianluca, fotografi e innamorati, un giorno di giugno, si sono sposati fra biliardino e amici. Si sono sposati altrove ma anche lì, ci sono arrivati per dedicare al proprio futuro insieme, il bicchiere della staffa. 

Per Duccio Tebaldi, storico barista e presidente dell’associazione culturale La Chute, il Circolo Progresso è un vero e proprio laboratorio di trasformazione culturale e sociale. Quando arrivò, il circolino era popolato da loschi personaggi dall’aura pesante che ci bivaccavano dentro mettendo i piedi sul tavolo. Un giorno tolse la tv: la rivolta. “Il circolo è casa mia!” dicevano. Molti di loro però, dopo esser stati buttati fuori a calci nel sedere, si presentarono, durante la chiusura estiva, armati chi di pennello e vernice, chi di cencio e granata. Negli anni è diventato un luogo in cui ascoltare artisti suonare e magari bersi anche un amaro con loro dopo il concerto. “Casa nostra” insomma.

Leonardo Sgatti, presidente del Circolo San Niccolò, ci racconta il mutamento del tessuto sociale in cui il circolo è nato: da rione “pitiglioso” (pulcioso ndr) dove nacque la prima società di mutuo soccorso dei lavoratori di San Niccolò nel 1897, siamo passati attraverso due guerre e due alluvioni senza che però si perdesse il significato profondo di “mutuo soccorso” che, come ci spiega la consigliera Chiara Burgio, adesso è “fioritura collettiva” grazie alla poesia. 

Il poeta iracheno Hasan, ad esempio, che frequentava il circolo senza che nessuno sapesse chi fosse, qui è stato omaggiato un anno fa; c’è un suo verso tratto dalla poesia “L’abbandono” che sembra parlare di quando, straniero, andava al circolo per trovare rifugio: “Un’altra volta come uomo perduto sto tornando verso te”.

E anche Angiolino, I’becco, come lo chiamano da anni i suoi amici ottuagenari, compagni di lotte sindacali, tombolate e riunioni di quartiere, i mercoledì sera d’inverno dalle parti di Firenze Nord, ora sta seduto su una panchina, guarda l’insegna spenta del suo circolo, aspira una boccata di M&S rosse, assorto regala una confidenza: “E mi chiamano i’becco perché qui ce n’ho portate neanche una, ma due, di donne. Non ho fatto a tempo a sposarle che l’eran belle scappate con un altro. E allora, o come tu la metti?”.

Guardiamo altrove, poi sorridiamo. Passa una ventata ancora calda nel primo buio di novembre, nel rammendare le piccole cose che porta le cose migliori.

Il sipario per ora si chiude. Ma voi continuate ad applaudire. I circoli, come gli attori migliori, tornano sempre per un bisse.