di Jacopo Storni
Sono a casa, come tutti. Guardo fuori. C’è il sole, è primavera. Osservo quell’albero davanti alla finestra. Sta mettendo le foglie, riesco a percepirne il cambiamento, riesco a vedere il lento maturare dei fiori. Sembra una magia. A volte m’incanto.
Prima no, non succedeva.
Adesso ascolto, con sensi diversi.
E sento mia moglie al telefono nella stanza accanto. Sento la sua presenza rassicurante. Di solito non c’è: è in ufficio e ci sentiamo al telefono una volta al giorno, velocemente, per non togliere spazio al ritmo. Invece adesso no, lei è qui. La mattina comincia così, facciamo colazione insieme.
Prima no, non succedeva.
Prima andavo al bar: cocci e tazzine ingolfavano l’udito. Clienti assiepati davanti al bancone. C’era fretta, prima. Adesso no. Non c’è traffico, né auto che corrono, né persone che imprecano. Non c’è ansia, quella da prestazione. Cammino lento, non vedo spasimi, non vedo fregole. Vedo tregua. Leggo silenzio.
Alle 13 c’è il pranzo in casa. Un rito antico, dimenticato, travolto dalla modernità. A pranzo parliamo. Poi ricomincio a lavorare.
Guardo fuori e vedo il vicino che torna con le buste della spesa. Ci salutiamo, e parliamo.
Prima no, non succedeva.
Prima avevamo fretta. O forse era una scusa.
Adesso è diverso, tutto è diverso.
Certo, l’economia è al collasso, uomini e donne rischiano il lavoro. E forse era meglio prima, era meglio la smania. O forse no, esistono le vie di mezzo. Esiste qualcosa che, nel dramma, possiamo imparare.
Protendo lo sguardo all’orizzonte. Attimi di ripetuto silenzio, mi ci tuffo dentro. Arriva la sera. Vedo il nero che entra nel bianco, il cielo che muta espressione. Osservo l’impercettibile.
Prima no, non succedeva.
Sento pace attorno a me, non sento sirene rapaci. È come un armistizio. Sento la natura, sento l’affetto, sento un abbraccio, una carezza.
Prima no, non succedeva.
Sento tutto diversamente, adesso.
E però sto male. Non vedo mia madre da un mese, non vedo mio padre da un mese. Mi mancano. Erano scontate, quelle cene con loro. Erano scontati, quei bicchieri di vino. E poi i miei amici, mi mancano. Qualcuno sta perdendo il lavoro.
Spero che il virus muoia presto. Spero che nessuno soffra più, che nessuna muoia più. Spero che tutti possano riprendere il lavoro. Ma quando torneremo normali, o quando penseremo di essere tornati normali, ricordiamoci di quando non lo eravamo più, ricordiamoci di adesso. Ripartiamo sì, progrediamo sì, ma non ciecamente. Ricordiamoci dei medici in trincea negli ospedali, certo. Ricordiamoci dei morti, certo. Ricordiamoci di chi è rimasto senza lavoro, certo. Ma ricordiamoci anche delle cose piccole, che sono le più grandi. Ricordiamoci della lentezza, ricordiamoci dell’ozio, ricordiamoci che senza gli altri non siamo niente. Rivediamo le nostre priorità. Riordiniamo le nostre necessità. Ricordiamoci degli affetti, dei bicchieri di vino, del pranzo a casa. Ricordiamoci di diventare padroni del nostro tempo, non schiavi. Ricordiamoci che siamo fatti per vivere la vita, non per esserne travolti. E magari chissà, forse soltanto così potremo evitare un’altra catastrofe.