A luglio i vecchi si ritrovano nelle piazze adiacenti ai supermercati. Acquistano prodotti tra cui: Oro Saiwa nel pacco da 300 grammi, gelato gusto caffè, pile stilo e limoncello di quello atroce. Inseguono l’aroma dell’aria condizionata, un misto polvere e disinfettanti che sa di trascuratezza, e di entrate non abbastanza buone per chiamare il tecnico dei filtri.

Vegliano, impegnatissimi, la pulizia del finto marmo, l’emissione di scontrini, la felicità delle famiglie la domenica pomeriggio. Indossano canottiere dismesse dall’inverno, bermudoni cachi e un cappellino, uno qualunque, con la visiera, ereditato da un nipote non più fan dei Lakers o vinto coi punti della benzina non troppi anni fa.

Le signore preferiscono i sandali ortopedici e vestiti con fantasie di pesci che non hanno mai visto l’acqua. Portano a spasso i carrellini, quasi sempre vuoti, come cani silenziosi che li tengono al suolo. Un tempo ci spostavano le latte dell’olio e sottovasi di coccio vero, ora ci conservano fiocchi di polvere e il ricordo di un’epoca in cui le cose pesavano meno. Sulla porta di casa, sul gradino d’ingresso, quasi lo sollevavano allora, il carrellino. Lo tiravano su per scavalcare l’ostacolo, con una sola mano, senza pensare.

Consumano acqua, i vecchi a luglio. Comprano bottigliette di plastica che gettano nei cestini generici, del tutto indifferenti alla raccolta differenziata. Lo fanno su consiglio dei telegiornali Mediaset, dei servizi di un quarto d’ora sull’estate e sul caldo, e sul fatto che, sebbene paia strano, la gente muore un po’ in tutte le stagioni. Sotto le tettoie, nelle zone d’ombra, si raccolgono senza parlarsi mai. Poi verso sera migrano lenti, come uccelli, sotto braccio a una peruviana in tuta glitter, o a un filippino riservato assunto extra agenzia.

 

Illustrazione: Lafabbricadibraccia