Esistono diversi modi per sottolineare le insufficienze che costantemente abitano le nostre vite. A Firenze, già dai tempi di Boccaccio, qualcuno capì che la doppia e la tripla negazione non è soltanto necessaria, ma importantissima per sottolineare questo concetto. Così, dal bisogno impellente di fare qualcosa in più per dare rilievo a tutto ciò che “non è”, nacque “punto”.

Il punto è una porzione piccolissima di spazio, così insignificante che non se ne può nemmeno misurare la superficie. La sua totale inconsistenza è perfetta per palesare quando non rimane niente. Anzi, quando “non rimane niente del niente nel niente”.

Dalla sua forma sostantiva, punto si è evoluto anche come aggettivo e avverbio fino a diventare un vero e proprio modo di dire: “Né punto né poco” (per niente affatto).

Questo dimostra come il toscano sia un animale sociale che, sin dall’antichità, era a conoscenza che nelle conversazioni le risposte negative arrivano sempre con un po’ di ritardo rispetto a quelle positive. Il NO è difficile da accettare: perché no? Dai non dire così, ripensaci, lascia un forse, te lo richiedo più tardi? NO, basta, non ne ho PUNTA voglia. Punto è la criptonite degli Yes Men, è puro nichilismo che non lascia via di scampo all’interlocutore. Arrenditi, non c’è più niente da fare: punto è l’OltreNo.