Un circuito circolare che parte dall’Africa, raggiunge Firenze e prosegue in Africa. Questo è l’obiettivo che si è prefissato WaxMore, il primo progetto in Italia di formazione sartoriale realizzato nel laboratorio di un brand e dedicato ai richiedenti asilo.

 

Tutto nasce da un’idea di Maria Cristina Manca, antropologa e collaboratrice per Medici Senza Frontiere. «Grazie alla collaborazione con MSF, che ormai dura da dieci anni, ho partecipato a diverse missioni nel mondo – racconta Maria Cristina – come in Guatemala, dove lavoravo su un progetto per le donne sopravvissute alle violenze, o in Africa per l’emergenza ebola. In queste missioni ho sempre dedicato all’arte uno spazio: in Africa abbiamo collaborato con studenti di cinema del luogo per realizzare un video sugli effetti dell’Ebola, al tempo malattia molto sottovalutata, per poi proiettarlo nei villaggi insieme ad un ragazzo che è riuscito a guarire.

 

Nella missione a Trapani, come sostegno psicosociale nei centri d’accoglienza, in sette mesi ho visto sbarchi, tante storie e il limbo in cui vivono i richiedenti asilo che non possono progettare niente perché in attesa di ricevere lo status di rifugiati». Nasce così, a febbraio 2017, il laboratorio WaxMore con un corso di formazione sartoriale della durata di sei mesi rivolto a richiedenti asilo ospiti in Toscana e che già lavoravano come sarti nei loro paesi di origine. «Il laboratorio serve a tirare fuori capacità e conoscenze che queste persone già hanno, ma anche imparare cose nuove, come i modelli sartoriali. In Africa non esistono, si prendono le misure e si taglia direttamente la stoffa, lasciando quattro dita di spazio in più perché il cliente potrebbe ingrassare, mentre da noi si lascia un solo dito e nel caso si compra un vestito nuovo.

Questo progetto è stato supportato dalla Fondazione il Cuore si Scioglie, inserendoci in un crowdfunding per finanziarci. Abbiamo avuto subito dieci aspiranti che, dopo una prova di italiano ed una pratica di sartoria, sono rimasti in quattro ad affrontare 800 ore di formazione, con due sabati al mese dedicati a gruppi di discussione sulla cittadinanza italiana, il ruolo della donna nella società, la storia della colonizzazione e molto altro.

Lo scopo è dargli autonomia e consapevolezza del contesto». Finito il corso, lo scorso luglio, due dei quattro richiedenti asilo, Youssif e Ousman, sono rimasti come aspiranti sarti presso l’azienda. «Per noi questa è una possibilità per migliorarci e avere garanzie per un lavoro stabile e un contratto – dicono i due giovani – perché senza un contratto regolare non puoi fare nessun progetto». Un percorso che però trova i suoi ostacoli. «Non possiamo fare progetti futuri perché siamo sempre in attesa che la commissione esamini le nostre pratiche di richiesta d’asilo; io è da un anno e nove mesi che aspetto una risposta, lui tre anni – continua Youssif – ed è una cosa a cui penso continuamente e mi da molta ansia».

Un’incertezza che incide sul futuro, ma anche sul presente sottraendoli per intere giornate dal lavoro, interessi o altri impegni per sbrigare l’ennesima pratica burocratica, rendendo così difficile un percorso formativo e professionale, come per Youssif che segue anche un corso di preparazione alle scuole medie e presta volontariato all’Humanitas accompagnando i malati. Ma in questo progetto la formazione è soltanto il punto di partenza.

«Grazie al corso questi ragazzi potranno aprire una loro sartoria qui o nei loro paesi di origine o lavorare per qualcuno con cognizione di causa» ci spiega Maria Cristina. «Il nostro è un progetto circolare che parte dall’Africa e torna in Africa: il prossimo obiettivo è devolvere parte dei ricavi per progetti in quel continente, ma al momento non abbiamo incassi sufficienti».

WaxMore ha da poco aperto anche un punto vendita in via Gioberti 61-65: qui è possibile trovare divise professionali e abiti per la vita quotidiana. Colore e unicità sono il simbolo dei loro lavori sartoriali.

 

WaxMore official website

www.waxmore.it

 

di Jacopo Aiazzi

foto di Giulio Garosi