Quando la luce attraversa un prisma di vetro si rifrange, mostrando tutto lo spettro del visibile. Tutti i colori esistenti in natura sono racchiusi in questo continuum e sfumano l’uno nell’altro. L’incontro con le Franco si potrebbe riassumere così: si provano nel tempo, e a volte tutte insieme, tutte le emozioni del visibile.
Al primo impatto le Franco ti incuriosiscono; le conosci meglio e ti divertono. Poi iniziano a toccarti un po’ più a fondo e ti senti contenuto, compreso. Ti innamori. Ma le Franco sono anche crisi di nervi (“di quelle buone!”), e allora ti senti alieno, ti arrabbi; l’universo che ti era parso di decifrare prende improvvisamente nuovi e sconosciuti connotati. Ne prendi le distanze. Non ci pensi, in superficie, ma elabori: alla fine ti riconcili, e, soprattutto, ti riconosci.
E queste sono (anche) le tappe del percorso di Francesca, Alice e Matilde: hanno iniziato quasi giocando con l’elettronica e gli effetti del synth, inventando versioni in tonalità maggiore di “Smells like teen spirit” per rispondere a chi diceva che le loro canzoni fossero tutte tristi; hanno fatto di questa malinconia la loro forza, elaborandola in una Lista di cose chiuse in una valigia insieme ai loro demoni.
Il loro sound si è fatto più rock con l’ingresso di Matilde – batterista – in una formazione che inizialmente vedeva Alice e Francesca alternarsi tra synthe chitarre. In questa veste si sono guadagnate il palco del Rock Contest 2017 (“non eravamo nemmeno sicure di cosa ci facessimo lì!”) e hanno continuato la loro ricerca musicale molto vicina alla scena indie italiana del momento, con qualche influenza new wave a documentare il retaggio di quella “malinconia felice” che è il loro marchio di fabbrica.
Tutte queste energie stanno per dare vita al loro album d’esordio, un lavoro in cui la musica è intesa come “il nostro minimo comune multiplo”, il terreno di incontro con l’uomo comune, con l’altro – con Franco, appunto.