Ci sono alcune cose che tu extrafiorentino approdato in terra d’Arno devi apprendere non appena hai smesso con la solfa della Hoca Hola hon la hannuccia horta: sapere a memoria Amici Miei e farne pubblico sfoggio in occasioni adeguate, canticchiare qualche ritornello di Marasco, (ri)conoscere il Larva, e last but not the least, decantare la schiacciata all’uva.
E tu fai l’analisi grammaticale di queste due parole che messe insieme dovrebbero narrarti di un dolce. Tu che sei abituata a vocaboli come “babà” o meglio ancora “delizia di Sorrento”, termini che vengono utilizzati persino a complimentare doti personali, al suono della parola “schiacciata”, quello che ti passa davanti agli occhi è il punto più buio della tua carriera liceale: l’ora di palla a volo.
Come seconda immagine invece, ecco la mamma del Buondì Motta che si scatafascia con l’asteroide.
Ma c’era un tempo in cui le mamme vendemmiavano e non commentavano gli articoli di Huffington Post e i figli (tanti) crescevano anche senza vaccini e Candy Crush.
Queste mamme facevano il pane e ne mettevano da parte un pugno che, coperto di acini e infornato con un po’ di zucchero, bastava a darti un’ebrezza fatta di uva ma ancora lontana dall’essere alcolica.